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Il discorso di Matteo Lepore al 25 aprile: una riflessione tra commemorazione e "autocritica"

Un pot-pourri di sobrietà e contraddizioni in un intervento tra celebrazioni e interrogativi sul futuro

Il discorso di Matteo Lepore al 25 aprile: una riflessione tra commemorazione e "autocritica"

In occasione delle celebrazioni per il 25 aprile in tanti si sono radunati in piazza del Nettuno. Le cariche istituzionali cittadine e i rappresentanti delle associazioni, tra cui l'Anpi e l'Aned, presidiavano in piedi, davanti al pubblico, sopra i gradini della fontana del Nettuno. Prima di intervenire con il suo discorso – rivelatosi poi ben preparato, come la circostanza richiedeva – il sindaco di Bologna Matteo Lepore ha deposto una corona d'alloro davanti al Sacrario dei Partigiani, a ridosso del Comunale di Bologna, in memoria delle vittime, accompagnato alla sua destra da un picchetto d'onore e camminando sopra le note del Silenzio.

Prima di introdurre il discorso che Matteo Lepore avrebbe pronunciato di lì a poco, al termine del rito commemorativo è stato concesso al pubblico presente di oltrepassare le transenne per avvicinarsi e udire le parole del sindaco di Bologna. Nel suo intervento, iniziato con una scaletta di parole d'ordine e ringraziamenti, Lepore ha chiamato in causa il "destino" e la triste coincidenza tra l'80° anniversario del 25 aprile e la scomparsa di Papa Francesco, ringraziandolo per il suo impegno verso i più deboli e l'insegnamento che ha saputo dispensare a chiunque, condividendo la sua genuinità di uomo semplice.

Il sindaco della città ha poi proseguito sul tema del 25 aprile e il concetto di 'libertà', sottolineando l'importanza di una comunità coesa e unita dalla "nostra bandiera", ringraziando la delegazione polacca invitata a Bologna per commemorare l'ingresso in città dei primi soldati polacchi il 21 aprile 1945, senza dimenticare di ricordare le vessazioni subìte da quegli stessi polacchi sotto l'occupazione sovietica e non dimenticando quanto accade oggi a ridosso dei loro confini: "Oggi il popolo polacco vive nuovamente, a pochi chilometri dai propri confini orientali, il dramma di un nuovo conflitto, quello russo-ucraino", ha detto, lanciando un appello ai quei sentimenti di opposizione a quella guerra, ma tralasciando il tema su come porre fine a questo conflitto - una negligenza voluta, che si sposa piuttosto bene con quanto hanno manifestato molti partecipanti durante l'evento 'Una piazza per l'Europa' del 6 aprile scorso, ossia la necessità di un riarmo in Europa ma con la buona speranza che qualora il conflitto travalicasse i confini ucraini, dovrebbero essere gli 'altri' ad andare a combattere...

Poi, passando dal conflitto in Ucraina, soffermandosi sui bombardamenti che hanno colpito negli ultimi giorni Kiev e Charkiv - città gemellata con Bologna, come è stato sottolineato dal sindaco – ecco che Lepore compie un nuovo salto temporale indietro nel tempo, ricordano i bombardamenti che hanno flagellato le città italiane e la città felsinea durante il secondo conflitto mondiale, con tanto di particolari e numeri dettagliati, come se poco prima del suo intervento avesse metabolizzato un saggio di taglio storico - numeri che però si sono rivelati un'arma a doppio taglio, poiché, se da una parte, avevano incuriosito il pubblico, dall'altra parte una buona fetta dava già segnali di assopimento. Ma niente spavento, il torpore è svanito non appena ha compiuto un nuovo salto verbale, tipico dell'arte della retorica, chiamando in causa quelle porzioni di globo che vivono sotto la soglia di povertà: "Tanta parte del mondo, infatti, chiede ancora di essere liberata: dalla guerra, dalla miseria, dall'ingiustizia ambientale, dalle disuguaglianze," ha detto, per poi immergersi nelle intricate righe delle Sacre Scritture, citando il profeta Ezechiele e il tema della risurrezione - forse una citazione fin troppo cristiana e troppo vicina alle linee guida emanate dal ministro Valditara per l'istruzione scolastica; chissà che cosa ha pensato chi era presente di questo suo "avvicinamento" al governo. E poi, ancora, con una domanda retorica si è rivolto al pubblico in un tentativo che potesse scuotere le coscienze e giocare sul senso di colpa di matrice cristiana verso il tema dell’immigrazione e non solo: "Di fronte a tutto questo, noi, come contemporanei, potremmo dire di non aver visto?". Lepore ha continuato citando ancora il defunto pontefice: "Tutto è connesso," sottolineando la correlazione tra le lotte per la terra, il clima, la pace, contro le disuguaglianze e lo sfruttamento. Ma proprio mentre trovava slancio con questi concetti contro la disparità sociale, le sue parole venivano accompagnate da un aroma che chiunque avrebbe riconosciuto a distanza: l'inconfondibile odore di patatine fritte e panino di McDonald's, che era lì nelle vicinanze, all'angolo tra via Rizzoli e via dell'Indipendenza, quasi a sorvegliare quanto avrebbe detto il sindaco. E a proposito di 'destino', citato dallo stesso Matteo Lepore all'inizio del suo discorso, la sorte si è burlata di lui e si è presa gioco della sua aurea di "paladino" di parole chiave quali 'disuguaglianza' e 'sfruttamento', un’aurea smorzata dagli odori provenienti dalle cucine di uno dei simboli di questa società contemporanea, un simbolo che rappresenta sia la prosperità - per qualcuno - ma anche lo sfruttamento - per molti - cui il sindaco si è opposto con istituzionale pacatezza. Come spesso accade in simili occasioni, le istituzioni e i cittadini sono reciprocamente richiamati a un impegno collettivo, a ritrovarsi uniti nel riconoscere e “combattere” le disparità sociali globali, e per loro fortuna, nonostante il tentativo di sabotaggio da parte delle pietanze di McDonald’s, il pubblico è venuto in suo soccorso con gli applausi, anche se, a mio avviso, erano di mera circostanza e privi di sostanza – forse qualcuno si era accorto che quanto stava dicendo non si sposava affatto con quanto proveniva dall’altra parte della strada.

"La nostra visione", ha ribadito Lepore, "è una questione di sguardo", invitando le classi più agiate, e soprattutto l'Occidente, sebbene non esplicitamente menzionato, a riflettere sul "debito storico che abbiamo contratto, un debito climatico, un debito coloniale" nei confronti di quelle parti del mondo che vivono sotto la soglia di povertà. Non sono mancati, a questo punto, nuovi applausi. Tuttavia, sorge spontanea la domanda: quanti dei presenti sarebbero stati davvero pronti a rinunciare ai loro privilegi, a quegli agi e a uno stile di vita che, inevitabilmente, condiziona una vasta fetta di popolazione mondiale, costretta a soddisfare i piaceri quotidiani di pochi privilegiati? Non lo possiamo sapere con certezza, ma certo uno scroscio di applausi ha aiutato a distogliere l’attenzione da questo quesito esistenziale e a non pensare al problema.

Infine, la riflessione si è chiusa citando Walter Benjamin: "Se è vero che ogni monumento della civiltà è anche un monumento della barbarie, forse il colonialismo è stato sconfitto dalla Storia, ma ne resta una mentalità persistente nei paesi un tempo dominanti”. Sì, è tutto vero, resta persistente, e il nostro è uno di quei paesi dominanti. Ma se così non fosse, che cosa ne sarebbe dello stile di vita che ogni occidentale conduce? Quanti di noi sarebbero disposti a rinunciare a questo lauto banchetto? In quanti farebbero un passo indietro rispetto al rapporto di forza che ha permesso all’Occidente di progredire nel benessere quotidiano?  

Il discorso di Lepore, pur rispecchiando la sobrietà istituzionale richiesta dall'occasione, ha superato i confini della mera celebrazione, con toni pacati, sì, ma che hanno abbracciato uno spettro di temi che a mio parere ha creato solamente il solito miscuglio del “mettiamoci tutto dentro che tanto piace alla gente che piace”; un intervento che ha lasciato il tempo che ha trovato, sì, perché si vedrà quel che sarà, perché l’importante, alla fine, è che ci fosse qualche presente disposto ad ascoltare e ad applaudire, autoconvinto di quelle parole, in parte anche autocelebrative, parole di chi se la canta e se la suona, come quando ci si ritrova tra amici e ci si rassicura che tutto andrà bene.

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