fatti e notizie
Cerca
America al voto
05 Novembre 2024 - 06:10
Nel prossimo appuntamento elettorale americano, si gioca ben più del destino degli Stati Uniti: si delinea il futuro dell'Occidente e della sua storica alleanza, fondata su interessi comuni, valori condivisi e strategie economico-militari intrecciate. È una competizione che appare quanto mai incerta e divisiva, con candidati che incarnano in modo polarizzante visioni opposte dell'America e del mondo. Questo riflette, al contempo, la crescente distanza tra la destra e la sinistra statunitense e sottolinea le implicazioni che tali differenze ideologiche potrebbero avere per l'Europa e i suoi partner.
Storicamente, i presidenti democratici hanno perseguito una linea interventista in politica estera, con un occhio sempre vigile sui loro alleati, soprattutto europei. Non solo: gli Stati Uniti democratici sono stati una costante forza di supporto per la NATO, per la difesa dell'Europa e per lo sviluppo delle economie europee. Questo è stato possibile anche grazie a un equilibrio strategico: mentre Washington si occupava della sicurezza transatlantica, le nazioni europee potevano permettersi di concentrare risorse su welfare e infrastrutture, beneficiando del cosiddetto “ombrello americano” senza eccessive spese militari.
L'interventismo democratico, a volte critico per le sue derive bellicose, ha avuto l'effetto collaterale di consolidare la stabilità in Europa e di garantire un contesto di sicurezza che permettesse il suo sviluppo. Questo è avvenuto anche nei momenti più critici della Guerra Fredda e si è protratto attraverso vari scenari di crisi internazionali. Negli ultimi anni, con la presidenza di Barack Obama, la NATO ha assunto nuove sfide e responsabilità, compresa la lotta contro il terrorismo internazionale, che ha messo ulteriormente in rilievo l'importanza di una guida americana solida e consapevole.
Di contro, l'isolazionismo in politica estera, tipico dei presidenti repubblicani, ha sollevato dubbi e paure in Europa. Le presidenze di Trump e, in misura minore, quella di George W. Bush, rappresentano due momenti critici di questa tendenza. Se da un lato l'America repubblicana ha a volte preferito concentrarsi sul mercato interno e sulle politiche protezioniste, dall'altro l'Europa ha percepito questo come un distacco pericoloso, capace di destabilizzare le sue economie. Il caso dei dazi imposti da Trump ne è un esempio lampante: l'effetto domino si è fatto sentire in vari settori dell'industria europea, in particolare in quelle manifatturiere di paesi come Italia e Germania, che si ritrovano oggi più vulnerabili in un contesto di crescente incertezza economica globale.
Con la dottrina "America First", Trump ha di fatto spezzato alcuni di quei legami che per decenni avevano caratterizzato l'alleanza transatlantica. La Brexit e le politiche commerciali più rigide hanno contribuito a creare un clima di recessione economica che l'Europa ha sentito fortemente. È evidente come una nuova vittoria repubblicana con questa linea possa portare a una contrazione delle economie europee. L'interconnessione tra le economie degli Stati Uniti e dell'Europa è racconto che, senza una strategia di cooperazione, non è difficile immaginare scenari di crisi paragonabili a quella del 2008, innescata proprio dalla bolla dei subprime americana e le cui conseguenze furono avvertite in tutto il mondo.
Nonostante le tendenze opposte, sia i democratici che i repubblicani sembrano portare avanti visioni che riflettono le profonde fratture nella società americana e che potrebbero avere gravi conseguenze per gli alleati d'oltreoceano. Il paese è diviso: Trump raccoglie il sostegno della classe operaia bianca della cosiddetta fascia della ruggine, degli ispanici e di una buona parte degli elettori del Sud, che resistono alle istanze del progressismo democratico e alla spinta verso il "politicamente corretto". Al contrario, il Partito Democratico è sostenuto dalle élite urbane, spesso legato a posizioni oltranziste e sostenitrici di battaglie per i diritti LGBTQ e delle derive wokiste, portando avanti anche una politica fortemente divisiva con posizioni pro-palestinesi, dando talvolta spazio a correnti che sfiorano l'antisemitismo.
Questo contesto porta molti a interrogarsi su quanto il Partito Democratico abbia oggi un programma di difesa culturale e politica dell'Occidente, inteso come luogo di valori, diritti e conquiste storiche. La crescente influenza delle ideologie “woke” e delle lotte identitarie può, infatti, spingere il partito a una forma di disarmo culturale dell'Occidente, in cui i principi fondanti di libertà e democrazia sono messi in discussione o ritenuti superati. Secondo questa visione, l'Occidente non ha più nulla da offrire al mondo, se non un pentimento per i crimini passati.
A questa disamina si aggiunge un altro elemento preoccupante: la scarsa qualità percepita dai candidati, rispetto ai giganti del passato come Nixon e Kennedy, riflette una politica americana in declino. Questo non è solo un problema di competenze o di esperienza, ma di controllo. Oggi, sembra che i veri burattinai siano i grandi gruppi di potere della Silicon Valley, i miliardari e le élite culturali, piuttosto che le storiche famiglie repubblicane e democratiche o i think tank, un tempo in grado di influenzare le scelte dei presidenti. Questo fenomeno ha contribuito alla diffusione di un sospetto diffuso e all'erosione della fiducia nei confronti del sistema politico, visto come distante dai reali bisogni del popolo. Il declino della classe politica americana non è solo un problema interno. La sua crisi si riflette anche sull'Europa, che, anche se in misura minore del passato, guarda a Washington come una guida in grado di dare stabilità e sicurezza globale. Se questa leadership non è più in grado di rispondere alle sfide globali, diventa difficile per l’Europa mantenere un equilibrio e una continuità nelle proprie politiche, con il rischio di essere trascinata in una fase di instabilità.
Se da un lato la divisione interna americana minaccia l'alleanza storica tra Stati Uniti ed Europa, dall'altro lato vi è la crescente difficoltà per gli Stati Uniti di trovare una visione unitaria che tenga conto dei molteplici interessi della propria popolazione. Questa elezione rappresenta, forse più di ogni altra, il punto di non ritorno. Senza una guida forte e orientata ai valori che hanno da sempre definito l'Occidente, l'Europa potrebbe trovarsi isolata e priva di riferimenti, in un mondo in cui le nuove potenze come Cina e Russia sono pronte a cogliere ogni segno di debolezza per espandere la loro influenza. E così, mentre l'America decide il proprio futuro, anche l'Europa è chiamata a fare i conti con una nuova realtà: l’Occidente in crisi, diviso e privo di un'identità comune. L'esito delle elezioni USA non rappresenterà solo una scelta di politica interna, ma un segnale per il mondo intero: se gli Stati Uniti si chiuderanno sempre più su sé stessi, l'Occidente potrebbe perdere la propria bussola, senza più un faro a guidare le nazioni democratiche verso un destino comune.
BolognaCronaca.it | Direttore responsabile: Andrea Monticone
Vicedirettore: Marco Bardesono Capo servizio cronaca: Claudio Neve
Editore: Editoriale Argo s.r.l. Via Principe Tommaso 30 – 10125 Torino | C.F.08313560016 | P.IVA.08313560016. Redazione Torino: via Principe Tommaso, 30 – 10125 Torino |Tel. 011.6669, Email redazione@cronacaqui.it. Fax. 0116669232 ISSN 2611-2272 Consiglio di amministrazione: Presidente Massimo Massano | Consigliere, Direttore emerito e resp. trattamento dati e sicurezza: Beppe Fossati Email redazione@cronacabologna.it. Fax. 0116669232 |ISSN 2611-2272
Registrazione tribunale n° 1877 del 14.03.1950 Tribunale di Milano
Nell'anno 2023 sono stati percepiti i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell'articolo 5 del medesimo decreto legislativo.