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EDITORIALE

Progressisti sempre più ricchi, per questo vincono i Trump

Alcuni dati interessanti del voto americano

Progressisti sempre più ricchi, per questo vincono i Trump

Donald Trump

La vittoria di Donald Trump - al di là di ciò che ciascuno può pensare del tycoon - mette in rilievo alcuni aspetti della dinamica elettorale chem, a ben guardare, riguardano ormai, per quanto su scale dimensionali diverse, tutto l'Occidente, comprese l'Italia e l'Emilia Romagna, dove si andrà al voto tra una decina di giorni. E si tratta di aspetti testimoniati dai freddi e oggettivi numeri. Primo dato: Trump perde rovinosamente solo nel District of Columbia, cioè, nella capitale federale, Washington, nel territorio abitato dai funzionari del governo, del Senato e del Congresso. Pur essendo più o meno equamente divisi tra repubblicani e democratici, gli uomini dell'establishment hanno votato in modo bulgaro per Kamala Harris: 90% (255.899) contro 7% (18.669). Negare come tutte le centrali del potere si siano mobilitate per l'avversaria di Trump, a fronte di queste cifre, diventa a dir poco risibile, evidenziando di contro, la natura popolare del successo del neo-presidente degli Stati uniti. Per tanto, si può anche affermare come, ormai, le élite progressiste siano strettamente collegate alle centrali finanziarie che, infatti, hanno contribuito alla campagna della Harris con l'astronomica cifra di 1 miliardo di dollari. Soldi, quelli generosamente versati nelle casse del comitato elettorale democratico, che non sono bastati a far scalare alla vice di Joh Biden l'ultimo, prestigiosissimo gradino della carriera, pur consentendole di ottenere un altro e curioso risultato. In America, l'organizzazione del voto elettorale ricalca la divisione per contee di ciascuno Stato. Ebbene, sia negli Stati dove vince sia in quelli dove perde, Trump non riesce praticamente mai a superare la Harris nei territori delle diverse capitali e in quelle delle città più popolose. Donald non ha vinto solo nella maggioranza degli Stati e non ha solo ottenuto più consensi - in termini numerici reali - rispetto alla contendente, ma è risultato primo nella stragran parte delle centinaia e centinaia di contee in cui è suddiviso il corpo elettorale. In altre parole, come ben sa chi conosce più profondamente l'America, il candidato dei repubblicani vince laddove il territorio è più ricco di rapporti umani diretti, in cui i media - tradizionali o social che siano - hanno meno influenza, dove i soldi non sempre sono sufficienti a condizionare e a comprare i sentimenti della popolazione. Andando sul sito della Abc, per esempio, dov'è possibile analizzare i risultati Stato per Stato e contea per contea, questa divisione delle preferenze degli americani appare lampante anche agli osservatori meno attrezzati in materia di statistica. Da ciò, se ne può dedurre che il consenso per il mondo progressista moderno - negli Usa come nel resto dell'Occidente - è direttamente proporzionale alla ricchezza media dell'elettorato. Trump vince in Alaska, ma perde alle Haway. La Florida è un fortino repubblicano inespugnabile, tranne che nella contea di Palm beach, dove non abitano certo i poveri della città. Nello stato-chiave della Pennsylania, quello il cui risultato ha fatto pendere l'ago della bilancia a favore del repubblicano, composta da oltre 50 contee, la Harris vince solo in nove, ma, tra queste poche, tutte e tre quelle della capitale (Dauphin, di cui fa parte, appunto Harrisburg) e delle due città più grandi (quella degli Allegheny, con Pittsburgh, e quella di Philadelphia con l'omonima metropoli). Stessa musica in Georgia, dove Trump stravince ovunque, pur non toccando palla - per usare una metafora calcistica - nelle due contee su cui insiste la capitale Atlanta. Tranne rarissime eccezioni, è la dinamica del voto dappertutto, in America. Curiosamente, quindi, il fronte che ama definirsi progressista, in realtà, è molto ben radicato solo laddove gira più denaro e dove queste risorse, più che il frutto di attività imprenditoriali, sono il ricavato di attività finanziarie e speculative (dato, quest'ultimo testimoniato ancor meglio dal voto di Manhattan). In altre parole, la retorica divisione dell'elettorato in America profonda e America liberal necessita di un aggiornamento, se s'intende comprendere la realtà degli Stati uniti, dove non sono più i conservatori i rappresentanti del sistema economico fondato sulle oscillazioni borsistiche, sulle speculazioni monetarie, sulla produzione e sul commercio multinazionale e via dicendo, bensì proprio quelle frange della società che - in nome dell'ideologia woke o della promozione ossessiva, tramite i media, di nuovi e inesistenti diritti o desideri sociali - pretenderebbero d'interpretare in via maggioritaria anche i sentimenti della parte meno abbiente e meno fortunata della popolazione. Ma quello che avrebbe dovuto votare la Harris, però, si è dimostrato un popolo artificiale, dal quale si sperava e si pretendeva attenzione per i dati macro-economici - gli unici numeri positivi della presidenza Biden, ma che hanno riflessi positivi più per i miliardari che per i cittadini, più per gli industriali che per gli operai -, mentre il popolo vero, quello a cui interessa l'economia reale, anche spicciole, se si vuole, ha scelto Trump. 

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