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BANDA DELLA UNO BIANCA/30° anniversario dell'arresto di Roberto Savi e dei suoi complici
20 Novembre 2024 - 14:01
Lucio Baraldi
Qualche notte prima dell'ultima rapina compiuta da Roberto Savi e da suo fratello Fabio, Lucio Baraldi, insieme al cognato, era in giro per le strade della città, col suo furgoncino aziendale, a fare le solite consegne antelucane, tipiche del suo mestiere. Una notte come tante, insomma, di un onesto lavoratore che non avrebbe mai neanche lontanamente immaginato di essere in procinto, in quegli istanti, di entrare nella storia italiana, in virtù della sua passione per le automobili.
Ricorda ancora cosa accadde quella notte?
Certo! Come tutto quello che successe nei giorni successivi. Sono vicende ormai stampate nella mia memoria in modo indelebile. Ero in giro con mio cognato, quando, a cavallo tra le 2 e le tre del mattino, notai due persone girovagare dalle parti di via Vittoria, dove abitavo allora.
Perché le notò? Cosa attirò la sua attenzione? Li conosceva?
No, non notai i loro volti e, quindi, non ebbi la possibilità di capire chi fossero. Mi accorsi che camminavano in modo strano, uno sul marciapiede e l'altro sulla strada, osservando le macchine che era parcheggiate. Siccome c'erano stati già furti d'auto nella zona, prestai maggiore attenzione e decisi di fare un giro dell'isolato e capirci qualcosa di più.
E cosa successe?
Successe che, dopo essermi allontanato un po', tornando indietro, incrociai una Fiat Uno di colore azzurro targata Ravenna, con alla guida quello che sembrava uno dei due che avevo intravisto e, subito dopo, vidi sfilare una Mercedes, targata Forlì, di cui mi rimasero impressi alcuni numeri.
Lì per lì, solo questo, niente di più. Quando capì di aver visto qualcosa d'importante?
Il giorno dopo, quando seppi che la Fiat era stata rubata a dei miei vicini di casa, ai quali dissi di aver visto probabilmente i ladri.
Poi, cosa accadde ancora?
Quel che tutti sanno. il 21 ottobre, dopo una rapina (alla Banca nazionale dell'Agricoltura, in via Caduti di via Fani, ndr), vennero da me degli agenti della Polizia, ai quali descrissi quella macchina, con cui, secondo me, chi aveva usato la Fiat Uno usata per il colpo e subito ritrovata lì nei pressi, era arrivato in via Vittoria per rubarla.
La sua descrizione fu giudicata perfetta, dato che sembra che lei fosse particolarmente appassionato della macchina che, come si scoprirà di lì a poco, apparteneva a Fabio Savi.
E lo sono ancora, appassionato di Mercedes! La macchina di Fabio la notai fin nei minimi dettagli, colore modello, tipo di antenna del telefono, alcuni numeri della targa, anche perché si trattava dell'auto dei miei sogni. Pensi che qualche anno dopo sono pure riuscito ad acquistarla, un auto di quel tipo.
E, infatti, grazie alla sua segnalazione si poté risalire in fretta a Fabio Savi e, di lì, al fratello Roberto.
Roberto che seppe immediatamente che un testimone, cioè, io, aveva visto la Mercedes del fratello, nell'orario del furto della Fiat.
Tanto è vero che subì un'intimidazione, qualche giorno dopo, anche se lì per lì non dette più peso di tanto all'episodio.
Non fui io in prima persona, ma mia moglie. Due giorni prima dell'arresto dei Savi, dovetti stare a letto e non andare a lavorare, perché avevo la febbre e, quindi, prima dell'alba, mia moglie uscì di casa per sostituirmi. Quando entrò in macchina, vide partire verso di dei un'auto, che la accostò e le fece prendere paura, pensando a dei malintenzionati. Poi, però, vide che uno dei due uomini dentro l'auto era Roberto Savi e pensò: che fortuna, è un poliziotto!
Sua moglie conosceva Roberto Savi, ancor prima che si scoprisse che razza di criminale fosse?
Mia moglie lo conosceva, dato che abitava in via Signorini, poco distante da noi, e i nostri figli andavano a scuola insieme. E quando lo vide dentro quella macchina, ovviamente ignara di tutto, si rassicurò. Anche perché loro, probabilmente, aspettavano me, il testimone.
Pensa che se ci fosse stato lei, avrebbero potuto farle del male? Roberto e Fabio, probabilmente, già sapevano di essere stati scoperti e che probabilmente si sarebbero dovuti dare alla latitanza: perché colpirla?
Perché quei due assassini, coi testimoni delle loro imprese efferate, hanno sempre fatto così: sono tornati indietro per liquidarli.
E anche questo, per altro, è vero.
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