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01 Dicembre 2024 - 14:26
È partito poco fa fa il corteo che sta scuotendo le strade di Shëngjin, città albanese dove i centri sociali italiani hanno deciso di far sentire la loro voce. Con un’energia che non passa inosservata, il gruppo di Yabasta di via Casarini a Bologna guida la manifestazione, uniti alla resistenza di altri collettivi provenienti da Padova, Torino e Tirana. Presenti anche gli attivisti bolognesi di Mediterranea. L’obiettivo? Contestare a gran voce l’accordo firmato tra Italia e Albania per la creazione dei centri per migranti.
Shëngjin è diventata il simbolo del conflitto, il centro dove i migranti, appena arrivati in Albania, avviano le pratiche di asilo. Un centro che, secondo i manifestanti, non fa altro che perpetuare un sistema che loro considerano un “lager”, uno spazio di detenzione, una promessa di asilo che si scontra con l’idea di una Europa solidale. Qui, i migranti dovrebbero ottenere risposta alle loro richieste entro 28 giorni, prima di essere smistati a Gjader, dove un altro centro decide il loro futuro.
Ma i manifestanti non si fermano a Shëngjin: domani saranno a Tirana, con lo stesso grido di battaglia. Un altro passo, un altro striscione: “Accordo illegale, resistenza globale”. Questo è il loro motto, e non hanno paura di urlarlo forte, mettendo in discussione le politiche migratorie europee e italiane, a partire dalla gestione dei centri di accoglienza.
La manifestazione è caratterizzata dalla presenza di uno striscione recante la scritta "Stop lager", nei toni vivaci del rosso e dell'arancio, simbolo di una rabbia incontenibile: "Galere e cpr non ne vogliamo più, colpo su colpo li tireremo giù". Alcuni degli attivisti, poi, non risparmiano critiche alla figura della premier Giorgia Meloni, accusata di portare avanti politiche che, secondo loro, criminalizzano la migrazione e chi cerca di sfuggire a guerre e povertà.
Ma la protesta è chiara: smantellare i CPR, ritirare la polizia italiana dall'Albania e abolire le liste dei Paesi sicuri che, secondo gli attivisti, sono uno strumento che limita i diritti di chi chiede asilo. Un atto di denuncia che non solo riguarda i migranti, ma che tocca direttamente il cuore della politica migratoria europea, una battaglia che va ben oltre le strade di Shëngjin.
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