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IL DOPO-REPORT

Sistemi di stampo mafioso nella gestione dell'Expo?

Le peripezie di Farinetti e le ombre della politica: una denuncia che scuote il sistema

Sistemi di stampo mafioso nella gestione dell'Expo?

Bologna, poco prima dello scoccare dell'ultima mezzanotte dell'anno, è balzata all'onore della cronaca nazionale, in conseguenza alla messa in onda, su Rai3, della puntata di Report dedicata alla sconcia vicenda di Fico: il mega-parco del cibo, fortemente voluto da Oscar Farinetti e finanziato con una montagna di soldi pubblici e privati, recentemente saltato per aria e sostanzialmente riproposto sotto una veste nuova. 

Si tratta di una vicenda che sembra destinata ad approdare nelle aule giudiziarie, anche perché le opposizioni del Centrodestra cittadino - come si racconterà a parte -, dopo anni di sostanziale silenzio, alternato a innocui ed episodici atti ispettivi nei consigli comunale e regionale, dopo la denuncia di Sigfrido Ranucci, sembrano essersi improvvisamente ringalluzzite, annunciando esposti alla Procura della Repubblica

La vicenda è complessa e ha diversi piani di lettura, ma quel che maggiormente inquieta, di quanto raccontato nel servizio televisivo, è un passaggio intermedio, nell'avventura che ha portato il fondatore di Eatitaly da Torino alla periferia di Bologna. Un episodio avvenuto a Milano, all'epoca dell'esposizione mondiale e, in parte, già noto al grande pubblico. Si parla, ovviamente, dell'affidamento senza appalto a Farinetti, da parte dell'allora amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala, dei ristoranti dell'importante kermesse del 2015. Una vicenda che vide l'attuale sindaco di Milano - esponente dei Verdi, ma sostenuto dal Partito democratico - contrapporsi duramente e ricevere una severa critica da Raffaele Cantone, il magistrato a capo dell'Autorità nazionale anticorruzione.

Non è nemmeno questo, però, il passaggio importante dell'inchiesta di Report, secondo cui Farinetti sarebbe stato chiaramente aiutato nell'impresa di accaparrarsi i venti ristoranti italiani dell'Expò dalle relazioni con Matteo Renzi, dal Pd e dall'alleanza del Centrosinistra, anche all'epoca egemone a Palazzo Marino. No, il passaggio importante è quello relativo all'esposto che, proprio per la mancata indizione di una gara per l'assegnazione di quei ristoranti, fu presentato da un possibile concorrente dell'imprenditore piemontese

I cronisti e collaboratori di Ranucci, infatti, hanno intervistato brevemente Piero Sassone, presidente dell'Icif, una realtà importante nel settore del cibo, della somministrazione e della formazione degli chef che, vedendosi di fatto esclusa dalla possibilità di concorrere per la gestione delle aree di ristoro più significative della rassegna universale a Milano, si rivolse alla magistratura con un esposto. Un esposto che non causò alcun danno pratico né a Sala né a Farinetti, ma che certamente non era infondato, visto le conclusioni che Cantone trasse, dell'intera vicenda. Un esposto che, però, avrebbe avuto una conseguenza alquanto inquietante e scandalosa proprio per Sassone. Ecco, infatti, le testuali parole dell'imprenditore di Costigliole d'Asti:

"A pochi mesi dalla fine di Expo ci siamo trovati con una verifica fiscale a tappeto che ha visto arrivare la Guardia di Finanza in tutte le nostre attività e sedi; un'indagine e una verifica fiscale durata due anni. Risultato: il verbale concludeva con: società soggettivamente inesistente, come se noi fossimo stati una grande cartiera. La Procura di Asti ha subito emesso un provvedimento di sequestro preventivo e cautelativo di tutti i nostri beni. E io ho dovuto rivolgermi alla Procura con gesti estremi. Ho pensato anche al suicidio. Poi, un magistrato ha ordinato una controindagine che ha stabilito che tutto era regolare e che le società esistevano".

Non si tratta semplicemente di una brutta storia, per fortuna a lieto fine. Si tratta della denuncia - perché quando una storia di questo tipo viene rilanciata, per di più in prime time, dagli schermi televisivi, si può tranquillamente parlare di denuncia, seppur di tipo giornalistico - di una intimidazione in perfetto stile mafioso che sarebbe stata posta in essere da qualche politico, abusando dei pubblici poteri di cui era rivestito in quel momento.

Non sembri affatto esagerato, il richiamo alle modalità del crimine organizzato che, appunto, si qualifica per vincoli associativi tra gli aderenti - che esistono anche tra gli iscritti e i dirigenti dei partiti -; controllo di un territorio e capacità d'influenza delle relative amministrazioni pubbliche; disponibilità di una forza "militare". Una forza, quest'ultima, che non deve necessariamente esprimersi, sparando e uccidendo, ma che può benissimo anche essere usata "solo" per annichilire o intimidire.

Dunque, queste tutte queste caratteristiche non sembrano emergere, dalla narrazione di Sassone evidenziata da Report? Si direbbe proprio di sì. Ma, se questo sospetto esiste e sembra sorretto da indizi consistenti, ciò non dovrebbe indurre qualcuno - forse non solo la magistratura, ma anche il Parlamento nella sua dimensione di organo inquirente speciale - a indagare sul modo in cui certi partiti hanno gestito e, probabilmente, gestiscono il potere, laddove e allorquando ottengono una maggioranza elettorale? 

Dopo aver ascoltato Report - trasmissione, per altro, non imputabile di pregiudizi verso il Pd e la Sinistra in genere - le vicende di cui sarebbe stato protagonista o co-protagonista Farinetti non sembrano affatto inscritte in una semplice cornice di gestione allegra o discutibile delle risorse pubbliche (enormi, per la verità); bensì, appaiono come la spia di un sistema allarmante e sconvolgente e che meriterebbe un subitaneo e deciso approfondimento da parte di chi è deputato, a qualsiasi livello, ad assicurare legalità e parità di diritti nello sviluppo delle attività economiche.

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