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ANTEPRIMA A BOLOGNA DEL DOCUFILM
05 Gennaio 2025 - 16:17
Piesanti Mattarella e suo fratello Sergio, attuale capo dello Stato
Puntuale come i malanni invernali, ai primi di gennaio si manifestano, almeno da qualche anno a questa parte, i presunti scoop sull'omicidio del fratello del capo dello Stato, l'allora presidente della Regione Sicilia, Pier Santi Mattarella, consumato a Palermo il 6 gennaio 1980.
Ad aprire i fuochi, l'Ansa della Trinacria che, qualche giorno fa, ha titolato: Mafia: nuova pista nel delitto Mattarella dopo 45 anni. E il 5 gennaio, è la pagina nazionale della prima agenzia di stampa del Paese a ribadire e precisare: Omicidio Piersanti Mattarella: indagati Madonia e Lucchese. A ruota la Repubblica del 4 gennaio, col titolo di apertura della prima pagina: Delitto Mattarella, la svolta sui killer.
In questi servizi, oltre a precisare che queste nuove indagini - supportate da non meglio specificate inedite rivelazioni che, ovviamente, sarebbero coperte da segreto istruttorio - sarebbero coordinate dal procuratore del capoluogo siciliano, Maurizio De Lucia e dal sostituto Marzia Sabella, non si manca di segnalare la prossima presentazione in anteprima, al Modernissimo di Bologna, del docufilm realizzato da Giorgia Furlan.
Nel servizio pubblicato da la Repubblica, a firma di Lirio Abbate, non si manca di ricordare, a proposito di una delle due armi del famigerato assassinio: La calibro 38 è la stessa pistola utilizzata dal killer neofascista Gilberto Cavallini per assassinare a Roma il magistrato Mario Amato il 23 giugno 1980. Non si tratta di un particolare secondario, anzi, dal momento che, tra poco più di una settimana, il 15 gennaio, la Corte di Cassazione sarà chiamata a giudicare proprio Cavallini, in merito alla Strage di Bologna, dopo le due contestatissime condanne all'ergastolo comminate all'ex-militante dei Nar, in primo e secondo grado.
Dunque, le notizie importanti sarebbero due: finalmente sarebbero stati individuati - è bene ripetere: dopo 45 anni - i nomi dei killer di Piersanti Mattarella e, in questo ambito, sarebbe stata trovata la traccia importante - una stessa arma - anche un collegamento tra gli assassini mafiosi e terroristi neri.
Partendo dalla seconda notizia, è bene rilevare come Cavallini e Giusva Fioravanti, siano già stati processati e assolti - in primo, secondo e terzo grado. Ergo: definitivamente - per l'assassinio di Mattarella. Senza qui ripercorrere tutte le fasi di quel procedimento, è di tutta evidenza che, se vi fosse stata non solo identità, ma anche solo compatibilità tra la pistola usata per assassinare il politico democristiano e il giudica Amato - crimine, quest'ultimo, rivendicato e confessato dagli autori -, Fioravanti e Cavallini sarebbero stati condannati senza esitazioni. Se ciò non avvenne, è perché questa fake news - che è tutto tranne che news - fu rispolverata, ma senza esito, proprio nelle more del processo a Cavallini per la Strage di Bologna. Senza esito perché, come già si era stabilito in altre sedi giudiziarie, l'unico aspetto che collega la pistola del delitto Mattarella con quella del delitto Amato è la marca e il modello del revolver: Colt Cobra. Non certo un oggetto raro, se, come si scrisse sul Secolo d'Italia il 27 dicembre 2019 - esattamente a proposito di suggestioni propalate da L'Espresso sulla pistola di Cavallini -, Claudio Bigatti, noto esperto della rivista Armi e Tiro, il 3 gennaio 2017, definì la Colt Cobra il revolver per difesa tra i più famosi e di successo della casa americana, cioè, una delle armi più vendute al mondo proprio tra gli anni '50 e '80 del secolo scorso.
Insomma, non solo non è nuova l'ipotesi di un collegamento tra Cavallini e i killer di Mattarella, ma è altrettanto vecchia anche la smentita. Senza contare che i magistrati che hanno indagato precedentemente su questa pista, non hanno mai mancato di rilevare come sarebbe stato difficile anche solo pensare che un gruppo terrorista, per compiere un attentato che s'intende anche rivendicare (cioè, l'assassinio del giudice Amato), utilizzi la stessa arma usata per un altro delitto (quello di Mattarella) che non solo non fu rivendicato, ma che addirittura fu oggetto di smentita da parte dei Nar. Nelle prime fasi dell'inchiesta sull'assassinio del fratello dell'attuale presidente, infatti, non fu presa in considerazione solo la pista mafiosa, ma anche quella eversiva, a causa delle solite rivendicazioni opposte, di sinistra e di destra, che puntualmente giungevano alle redazioni dei vari organi di stampa. Circolò già nei primi mesi del 1980 l'idea che i Nar potessero essere gli assassini di Piersanti Mattarella e, quindi, assassinare Amato con la stessa pistola sarebbe equivalso a confessare anche il delitto precedente. Un'assurdità.
Andando al dato essenziale dello scoop odierno, i nomi degli assassini di Mattarella, crea a dir poco sconcerto leggere quelli di Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese, ma non certo per l'acume investigativo di chi oggi li getta in pasto all'opinione pubblica. Bensì per il fatto che, per realizzare questa presunta, clamorosa scoperta, probabilmente non si è dovuta attendere chissà quale rivelazione di chissà quale pentito; è stato sufficiente leggere le motivazioni della sentenza d'appello del processo (confermato in Cassazione) che rese giustizia alla morte di Piersanti Mattarella, laddove si trova scritto: Ma il collaborante Di Carlo , sentito in sede di riapertura dell'istruzione dibattimentale ha definitivamente chiarito le ragioni di tali suggestioni, rivelando di aver appreso da Bernardo Brusca che il killer che aveva esploso i colpi di arma da fuoco all'indirizzo di Mattarella si identificava nella persona di Nino Madonia. Che, anche in ragione di competenza territoriale, non poteva farsi sfuggire l'occasione di compiere un delitto così ghiotto. Ed è una sentenza emessa alla fine degli anni '90, oltre 26-27 anni or sono!
Dunque, a sollevare tanta soddisfazione - tra qualche magistrato e qualche cronista -, non sarebbe stata la capacità di scoprire chissà quale arcano segreto di Cosa nostra, dopo 45 anni; ma l'aver imparato a leggere correttamente una sentenza giudiziaria dopo ben 5 lustri dalla sua emissione? Ora, è ampiamente possibile, se non probabile che, alla Procura di Palermo, sia stato necessario tutto questo tempo, per trasformare una dritta dei pentiti in una notizia processabile, capace di sostenere il contraddittorio, come si dice in termini tecnici. Non è per nulla accettabile, però, che certa stampa spacci per novità e rivelazioni ciò, che tutt'al più, per quanto possa essere buona, per certi palati, è solo una porzione della solita minestra riscaldata.
(nell'ordine, dalla più alta alla più bassa: l'auto di Piersanti Mattarella, subito dopo l'attentato; un esemplare di Colt Cobra; Gilberto Cavallini; il pentito di mafia Francesco Di Carlo)
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