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Il Duce era di Predappio, mica di Bologna

Marinelli sbaglia accento e cadenza, interpretando un Mussolini "felsineo"

Il Duce era di Predappio, mica di Bologna

In via Strada Maggiore, al numero civico 42, in pieno Medio Evo fu innalzata una delle centinaia di case-torri che diedero un volto del tutto specifico e straordinario alla città di Bologna. Successivamente, quando per sfoggiare la propria potenza economica, i bolognesi nobili e ricchi, acquisirono un gusto più improntato all'eleganza che alla potenza, come la maggior parte delle imponenti costruzioni verticali di cui era disseminato il tessuto urbano, anche quella di Strada Maggiore 42 venne rimaneggiata, abbassata e inglobata in un elegante palazzo gentilizio. Parte dell'antica struttura, però, è ancora visibile dalle opposte case del prospiciente vicolo Posterla. 

La torre di cui si parla era la torre Mussolini, appartenuta a una famiglia benestante, ma di cui non si sa moltissimo, per non dire poco, ma che, sicuramente, non ha rapporti di discendenza diretta coi Mussolini di Predappio, da cui ebbe i natali, nel 1983, Benito Andrea Amilcare, cioè, il Duce.

Insomma, tra Bologna e il Mussolini protagonista della Storia italiana, le connessioni di origine familiare e geografica si risolvono in una banale omonimia con l'oscura schiatta che possedette una sorta di grattacielo ante litteram sul primo tratto del decumano massimo, quello che, da piazza del Nettuno, conduce all'attuale Porta Mazzini, instradando il viaggiatore verso la Romagna, lontana una cinquantina di chilometri, a seconda delle interpretazioni. 

Eppure, il giovane Mussolini di M, almeno nella fiction che sta avendo un certo successo e che è stata tratta dal romanzo di Antonio Scurati, incredibilmente parla distintamente con l'accento bolognese che à alquanto diverso da quello della zona montana della Romagna predappiese. 

Al di là delle polemiche che stanno accompagnando - e aiutando - il successo della fiction, sulla fedeltà storica della ricostruzione o sulla qualità generale del programma, a Bologna questo limite non piccolo dell'interpretazione di Luca Marinelli è stato notato. Mussolini parla ovviamente in Italiano e la rappresentazione della sua origine provinciale è affidata alla cadenza  e ai toni della voce, da cui emergono distintamente - specialmente nella pronuncia della S e della Z - suoni che sono familiari sotto la Garisenda, non certo tra le vigne del Sangiovese superiore.

Non è una novità, cinematograficamente parlando. Anche il burbero Peppone fu interpretato sul grande schermo con un accento squisitamente bolognese, ma non sarebbe potuto essere altrimenti, visto che Gino Cervi era nato esattamente a 10 metri in linea d'aria da quella stessa Torre Mussolini, esattamente dall'altra parte di vicolo Posterla, riuscendo raramente a nascondere l'accento di provenienza, recitando film di commedia. 

Essendo romano, dunque, e avendo dovuto necessariamente studiare la parte, da  Marinelli ci si sarebbe potuta aspettare un po' più di attenzione e di diligenza, nell'acquisire e nel far proprio il modo di parlare di Mussolini. Anche perché a Bologna, di questi tempi, sul tema Fascismo si è molto - e spesso grottescamente - nervosi e far passare il giovane Duce per un rampollo del capoluogo emiliano potrebbe risultare sgradevole e sgradito.

Per non parlare della suscettibilità focosa dei romagnoli, in particolare quelli del forlivese, che certamente non gradiscono più di tanto, nel vedersi rappresentati, parlando con la cadenza dell'odiata, clericalissima seconda capitale dello Stato della Chiesa, a cui si sono contrapposti per secoli e secoli. 

Insomma, Marinelli assume movenze che, più che al Duce, appartengono al Camerata Catenacci, portato sulla scena dall'indimenticabile Giorgio Bracardi, e un linguaggio più simile a quello del sindaco di Brescello, piuttosto che a quello che tradiva la provenienza del capo del Fascismo. Visto che c'era, a questo punto, date le tante esclamazioni che contraddistinguono i dialoghi di Mussolini in M-Il figlio del secolo, Marinelli non avrebbe sfigurato, lasciandosi andare a qualche bel Soc'mel! che, si sa, fa sempre simpatia e strappa la risata.

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