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OMICIDIO STEFANI
18 Febbraio 2025 - 17:28
I magistrati della Corte d'assise chiamati a giudicare il caso dell'ex-vigile Giampiero Gualandi, accusato di omicidio volontario in danno di Sofia Stefani, non hanno riconosciuto alle 5 associazioni femministe, capeggiate dall'Unione donne italiane, il ruolo di parti civili del processo che si è iniziato proprio ieri. Apriti, cielo!
Non ostante la motivazione stringente, con cui i giudici hanno motivato la loro decisione, è già esplosa una polemica al calor bianco che, per altro, rischia di minare sostanzialmente solo la serenità di un procedimento grave e in cui è in gioco il destino di in imputato che, Costituzione alla mano, sarebbe innocente fino a pronuncia definitiva da parte dei magistrati.
Addirittura, questa vicenda giudiziaria, ancora nelle fasi preliminari, è già giunta in Parlamento, dove - con un'interrogazione a Carlo Nordio che ha dell'incredibile, pensando che proviene da un gruppo politico che, di norma, strilla per ogni dove il diritto della magistratura alla più completa autonomia dalla politica: i 5 stelle, per voce di Stefania Ascari - si è chiesto al ministro della Giustizia "quali siano le valutazioni in merito" sue e del governo, circa questa decisione della Corte d'assise di Bologna.
Secondo la Ascari, infatti, la decisione dei togati bolognesi di escludere le femministe dal processo, più che a "un tecnicismo giuriudico", sarebbe ispirata da una concezione dal "chiaro valore politico", volto evidentemente a non dare la giusta rilevanza alla dimensione "femminicida" del reato di cui si sarebbe reso responsabile il Gualandi. Infatti, è sempre la deputata contiana a a parlare, Femminicidio sarebbe "ormai riconosciuto nella normativa italiana, in particolare con il Codice Rosso, e nella giurisprudenza come una categoria criminologica che identifica l'uccisione di una donna in quanto tale, spesso in contesti di violenza domestica o relazionale".
Peccato, però, che le cose non stiano esattamente così. Né a Bologna né nel resto del Paese.
A Bologna, nel senso che i magistrati che hanno adottato la decisione contestata non hanno affatto, nello spiegare la loro decisione, messo in discussione i principi richiamati anche dalla Ascari; bensì, tenendoli ben presenti, hanno evidenziato come le condotte contestate all'imputato non permettono, allo stato degli atti, la riconduzione del fatto alla definizione di femminicidio. Dunque, la contestazione della parlamentare ai giudici petroniani non ha un fondamento giuridico - cioè, non è radicata in una eventuale differente interpretazione di un principio giurisprudenziale -, ma, semmai e incredibilmente, processuale, contestando una decisione preliminare che afferisce a uno specifico procedimento penale e a un preciso imputato che, casomai, avrebbe il diritto di essere giudicato in tribunale, piuttosto che in Parlamento o sulla stampa.
Dunque, perché mai Nordio o il governo dovrebbero mettere bocca su una questione preliminare deliberata da un organo collegiale della magistratura, per di più a rito appena iniziato?
Per altro, non è per nulla corretto affermare che il Femminicidio sarebbe una "categoria criminologica" riconosciuta dalla Giurisprudenza italiana. Anzi, è vero il contrario, come ha dovuto ammettere Milli Virgilio, docente di Diritto penale vicina alle posizioni femministe, in un'intervistata con La Repubblica: "Non esiste nell'ordinamento italiano la parola femminicidio né dunque una definizione della stessa. Si fa riferimento a quella dell'Onu, secondo la quale se l'uccisione avviene tra due partner o ex partner, come nel caso di Sofia Stefani, si tratta di femminicidio".
Peccato, però, che questo peculiarissimo - e contestato - orientamento dell'Organizzazione delle nazioni unite sia respinto dagli ordinamenti giuridici che regolano la vita di circa 7 degli 8 miliardi di abitanti della terra e che anche in alcuni paesi dove era stato adottato - vedi l'Argentina, proprio di recente - è in via di abbandono.
In buona sostanza, a Bologna come altrove, una certa ideologia giudiziaria altro non sta facendo, se non tentando di affermare una nuova tipologia di reato - similmente a quanto è avvenuto col fumoso concetto di "concorso esterno" a favore delle associazioni di tipo criminale - non già per la corretta (e unica) via legislativa, ma mediante "la prassi" processuale.
Tutto questo bailamme, però, bisogna avere il coraggio di dirlo, non giova né ai legittimi interessi dei familiari di Sofia Stefani né a quelli di difesa, costituzionalmente garantiti, di Giampiero Gualandi: è solo funzionale ai furori ideologici di qualcuno che è - e resterà - esterno a questo processo e, in ultima istanza, negativo proprio per la Giustizia, correttamente intesa.
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