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BANDA DELLA UNO BIANCA/30° anniversario dell'arresto di Roberto Savi e dei suoi complici
20 Novembre 2024 - 14:00
Il commissario Aldrovandi, commossa, il giorno in cui lasciò il servizio attivo
La storia di Luciano Baglioni e Pietro Costanza che incrociano casualmente una macchina con a bordo il Nasone, cioè, Fabio Savi, inseguendolo e scoprendo così di chi si trattasse realmente, ha già trovato così tante autorevoli smentite da rendere incredibile anche il semplice fatto ci si continui a raccontarla. La cattura di Roberto Savi, dei suo fratelli e dei suoi complici, in realtà, fu permessa da un qualcosa che accadde a Bologna - e non per mera fortuna -, il giorno in cui la banda della Uno bianca consumò il suo ultimo reato, ferendo gravemente due persone. Per altro, Roberto e Fabio, quella mattina, assaltarono la Banca nazionale dell'Agricoltura, in via Caduti di via Fani, a Bologna, con un'auto di quel modello, ma di colore azzurro, rubata qualche tempo prima in via Vittoria, cioè, nei pressi dell'abitazione del capo della banda. Teresa Aldrovandi, all'epoca funzionaria della Questura di Bologna, responsabile di uno dei turni della Squadra volanti, fu colei che ebbe l'intuizione giusta che permise di raccogliere tempestivamente gli elementi che, poi, portarono all'individuazione di Fabio e a sgominare definitivamente la banda.
Dottoressa, quale sarebbe stata l'illuminazione investigativa che le balzò alla mente, in quel periodo?
Mi accorsi che molte rapine di questi inafferrabili assassini fossero consumati, come dicevamo noi della Squadra volanti, in quinta.
Spieghi anche a noi semplici cittadini cosa significa agire in quinta?
Le pattuglie della Squadra volanti erano divise in turni e ciascun turno doveva assicurare il pattugliamento della città in una delle quattro scaglioni temporali in cui è divisa la giornata di lavoro - mattina, pomeriggio, sera, notte -, ottenendo di riposare al termine di questo ciclo di avvicendamenti delle varie sezioni. Era normale, quasi inevitabile che, smontando un turno e montando il successivo, ci fossero diversi minuti, diciamo così, scoperti, con le Volanti che tornano in caserma, mentre quelle che devono entrare in servizio ancora non sono uscite in strada. Ecco, io mi accorsi che diversi colpi avvenivano sempre in questo lasso di tempo, assicurando ai banditi un prezioso tempo di vantaggio.
Dunque, assunse dei provvedimenti?
Chiesi agli uomini del mio turno di organizzare diversamente il loro modo di entrare in servizio. Anticipando di un quarto d'ora circa la loro uscita in strada, affinché le macchine si trovassero già nelle rispettive posizioni, senza aspettare che il turno smontante fosse rientrato in caserma. E, ovviamente, di non abbandonare subito le strade, al termine del servizio, fintanto che non fossero entrati in azione i sostituti. Pochi minuti prima e dopo, ma che si rivelarono preziosi. Per me questo significava lavorare qualche ora in più al mese, perché dovevo anticipare l'ispezione delle dotazioni e il briefing quotidiano coi miei uomini, ma fummo tutti disponibili a fare questo sacrificio per tentare un qualcosa di più, contro questi criminali.
E tutto ciò dette i frutti sperati, il 21 ottobre 1994.
Esatto, perché arrivammo sulla scena del crimine immediatamente, forse un paio di minuti dopo la fuga di Roberto e Fabio. E lì, mentre l'agente che era con me, Luciano Tommasini, portava conforto ai feriti, una signora, che teneva per mano una bimba, mi fece un cenno, facendo capire di aver visto qualcosa d'importante.
Cioè?
Aveva visto dove i banditi avevano abbandonato l'auto sporca, permettendoci di individuare subito la Fiat colore azzurro targata Ravenna e risalire immediatamente alla data del furto e ai proprietari, scoprendo anche che, forse, chi l'aveva rubata era stato visto da un testimone.
Un fatto così importante?
Certo, perché in questo modo i ricordi di chi avrebbe potuto ben indirizzarci sarebbero stati freschissimi. Se avessimo scoperto quella macchina giorni o settimane dopo, forse sarebbe stata una delle tante macchine rubate dai Savi e il cui ritrovamento non era stato per niente utile alle indagini. Oppure, venendo a sapere della denuncia del testimone, Roberto avrebbe potuto sbarazzarsene in qualche modo, per non farla collegare alla rapina.
Invece, così, voi poteste agire tempestivamente.
Ricordo che, sulla scena dalla rapina, in via Caduti di via Fani, c'era Sergio Bracco, allora dirigente delle Volanti, che avrebbe voluto che io restassi lì, ma c'erano già tanti altri colleghi a fare gli accertamenti del caso. Quindi, dopo avergli detto quali fossero le mie intenzioni, approfittai di un momento di distrazione sua, per andare ad ascoltare la testimonianza di chi vide rubare la Fiat Azzurra. E quella sera stessa, ci mettemmo alla caccia della Mercedes 250 che, di lì a poco, si scoprirà essere quella di Fabio Savi.
Ricorda ancora qualche sensazione particolare, di quella fatidica giornata?
Quando la testimone che aveva visto dove era stato effettuato il cambio macchina mi indicò dove avrei trovato la Fiat azzurra, apprezzai come i banditi, invece di fuggire per la direzione più ovvia, avevano fatto due svolte a sinistra, raggiungendo la macchina pulita per allontanarsi indisturbati e senza farsi notare. Un criminale comune non si sarebbe comportato così, lì ebbi chiaro il dubbio che si sarebbe potuto trattare di colleghi.
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