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UNO BIANCA / SCOOP
26 Febbraio 2025 - 10:43
Una Feg identica a quella appartenuta a Fabio Savi
Commissariato di Rimini, Questura di Forlì, 25 novembre 1994. Da qualche ora, più che da qualche giorno, Fabio Savi è stato assicurato alla giustizia, dopo la cattura al valico del Tarvisio, dove gironzolava in compagnia di Eva Mikula, indeciso sul come e sul dove fuggire, e, quindi, sono iniziate tutte le attività di indagine e di riscontro su di lui.
In particolare, dopo le perquisizioni, c'è da capire che ruolo abbiano giocato, nelle scellerate azioni della banda, tutte le armi in loro possesso - tante, tantissime armi -, sia quelle legalmente detenute sia quelle che si sono procurati fuori dalle norme, anche con l'assassinio, come nel caso di via Volturno.
In particolare, di Fabio si sa che è cliente anche dell'Armeria Lazzarini, una delle più importanti, se non proprio la più importante della Repubblica di San Marino, dove la compravendita di quei delicatissimi oggetti (e relative munizioni), almeno all'epoca, era regolata da leggi diverse - e meno stringenti - da quelle italiane. Per altro, Fabio - ma anche Roberto e Alberto - non è un semplice cliente di quel negozio, ma è un amico di Enzo Lazzarini, col quale spesso è andato anche a sparare, specialmente in una sorta di poligono "ufficioso" a Masrola, in una tenuta dove spesso carabinieri, poliziotti, finanzieri e anche, appunto, qualche amico "civile" avevano l'abitudine di esercitarsi al tiro. In verità, i "civili" non sono moltissimi. Appunto Lazzarini, che è il rivenditore di fiducia di tanti di loro, e Fabio, il quale non solo è fratello di due "colleghi", ma anche l'amico, fin da quando erano ragazzi, di un terzo poliziotto di quel giro di appassionati tiratori, Riccardo Mazza.
Tornando al 25 novembre e al Commissariato di Rimini, quel giorno alcuni funzionari - sia della Questura di Forlì che della Criminalpol di Bologna (O. Ghetti, G. Arena, M. Mariconda) - scrivono a Daniele Paci (foto sotto), sostituto procuratore di Rimini, il quale conduce il filone romagnolo della scottante inchiesta, per segnalare a lui tutti i movimenti conosciuti delle armi di Fabio (6 pistole e 1 fucile) e di Roberto (1 pistola e 2 carabine) ed entrate in qualche modo in relazione con la Lazzarini.
Si tratta di automatiche, revolver e fucili acquistati a San Marino, oppure da altre parti e che i due criminali, poi, hanno rivenduto a terzi - o tentato di farlo - per tramite di quella armeria. Armi che, a quel punto, gli investigatori intendono rintracciare e mettere a disposizione della magistratura.
Particolare attenzione, in questa storia, va posta alle 5 righe finali dei tre fogli vergati dai funzionari di Polizia summenzionati: "Per quanto sopra, si richiede alla S.V. di valutare l'opportunità di emettere decreti di sequestro delle armi in argomento, ode poter effettuare le relative perizie balistiche, significando che l'arma al punto "B" è tuttora giacente presso l'armeria Lazzarini sita nella Repubblica di San Marino".
Dunque, chi è chiamato al difficile compito di scoprire e decifrare tutte le tracce e gli indizi della banda della Uno bianca sa fin da subito dell'esistenza di questa partita di armi che ha ruotato intorno alla Lazzarini - i cui titolari, va detto, in tutta questa vicenda non hanno compiuto alcunché di illegale - e di come una di queste armi, quella del punto B - segnatamente una pistola di fabbricazione ungherese Feg calibro 9x21, venduta a Fabio il 7 settembre 1992, con matricola L. 86096 - sia giacente proprio nella rivendita di fiducia, a cui il bandito appena arrestato l'ha affidata, in vista di un cambio merci o di una rivendita a terzi.
L'arma appare particolarmente significativa, dal momento che il calibro 9 è quello che firmato tanti delitti della Uno bianca, a partire da quello duplice consumato nell'armeria di via Volturno a Bologna, il 5 maggio 1991, con la morte di Licia Ansaloni e Pietro Capolungo. Un calibro che può essere sparato con due diverse tipologie di munizioni, il 9x19, che, però, è di uso esclusivo militare e delle forze dell'ordine, e il 9x21: stessa palla, ma montata su un bossolo leggermente più lungo e legittimo per i "civili". Tutto ciò, insomma, giustifica la premura e la fretta degli investigatori, nel sottoporre a perizia balistica quelle armi e, in particolare, quella Feg.
Qualcuno, però, sembra averla pensata diversamente, dal momento che, quell'arma, a Lazzarini, verrà sequestrata molto tempo dopo e per iniziativa non della Procura di Rimini o di chissà quale altro ufficio investigativo, ma dell'armiere stesso. Quanto tempo dopo? Enzo Lazzarini (foto sotto), non ostante gli anni trascorsi, non ha dubbi "Non prima di un anno e mezzo dopo l'arresto di Fabio. E fui io, anche su sollecitazione di mia moglie, a rivolgermi alla Gendarmeria di San Marino affinché, dopo tanto tempo, mi fosse data la possibilità di fare lo "scarico" di quell'arma, che non volevo più tenere in negozio".
Arma, quindi, che giunge nelle mani dei Carabinieri - Lazzarini tratterà la pratica con la Stazione di Villa Verrucchio, all'epoca comandata dal maresciallo Renato Corrao - a processo di Rimini addirittura concluso e a processo di Bologna già in corso da tempo, col dubbio, quindi, che quella pistola non sia mai stata effettivamente periziata.
Tutto ciò getta l'ennesima ombra sulle indagini che, dopo l'arresto dei Savi, furono condotte sul loro conto e che, a più di un osservatore, ancor oggi, appaiono troppo ancorate alle "confessioni" degli imputati e ai "riscontri" ottenuti, interrogando familiari, parenti e amici degli assassini e dei loro complici.
Senza contare che Luciano Verlicchi, altro grande esperto di armi, oltre che co-titolare dell'armeria dove è stata assassinata la moglie, valutando le indagini che furono svolte sul duplice delitto che lo ha colpito in modo tanto diretto, ha ipotizzato che la dinamica della criminale azione potesse esser stata diversa, rispetto a quella cristallizzata nella sentenza. Verlicchi crede poco o per nulla alla versione, secondo la quale l'assassino di sua moglie avrebbe sparato, infilando un caricatore pieno dentro la Beretta scarica che la donna gli aveva dato in visione, quella che verrà rubata al termine dell'azione. Secondo Verlicchi almeno uno dei due avrebbe sparato con una pistola sua che, non da oggi, identifica con buona probabilità proprio in una Feg.
Certo, se Fabio ha acquistato la pistola nel settembre del '92, certamente non avrebbe mai potuto sparare con quella stessa arma, un anno e quattro mesi prima. Per tanto, l'eventuale perizia mancante della Feg di Fabio non potrebbe dare risultati interessanti, per i delitti compiuti prima di quella data. Però, come si dice, c'è un però...
Si è detto all'inizio come nel poligono informale di Masrola andassero a sparare, insieme a Fabio e Roberto Savio, anche altri loro colleghi e amici, delle forze dell'ordine del riminese e per lo più clienti della Lazzarini. Per altro, secondo le sentenze, in più occasioni Fabio e Robero avrebbero usato o conservato armi dei loro amici e complici. Per esempio, Fabio avrebbe sparato a Cataldo Stasi e a Umberto Erriu con la calibro 357 di suo fratello Alberto; mentre Roberto ha custodito per almeno due mesi il fucile di Marino Occhipinti, quello con cui fu ucciso Carlo Beccari (foto sotto). Tutti particolari emersi dall'inchiesta che avrebbero dovuto sollecitare maggiore attenzione anche verso quella Feg. Perché? E' presto detto.
Come specifica lo stesso documento del 25 novembre trasmesso a Paci, infatti, la Lazzarini non vendette a Fabio una feg "vergine", nuova di fabbrica, ma "precedentemente appartenuta al Mazza Riccardo, agente della Polizia di Stato in servizio presso la Polizia Stradale di Riccione..." Cioè, lo stesso Riccardo Mazza amico da sempre di Fabio; quello che si unirà sentimentalmente, dopo il divorzio tra i due, alla stessa moglie di Fabio, Maria Grazia Angelini; il primo teste ascoltato, prima ancora dell'arresto di Fabio, proprio dalla Procura di Rimini per confermare le parole dell'ex-consorte contro il marito; l'ex-poliziotto che, in secondo grado, fu riconosciuto colpevole di favoreggiamento e condannato pesantemente a 5 anni e 7 mesi di carcere; il sodale di esercitazioni nel tiro con la pistola a Mesrola dei Savi e che - almeno in via ipotetica - avrebbe potuto anche, dati i rapporti di stretta fiducia, aver affidato in qualche momento, quell'arma a Fabio che, infatti, poi la comprerà.
Possibile che una tale pistola non sia stata sequestrata tempestivamente e periziata prima dell'inizio del processo, ammesso che sia stata sottoposta a una qualche analisi, anche a processo iniziato? E quando è uscita da un'armeria, quella pistola, per giungere nelle mani di Riccardo Mazza, dalle quali passerà a quelle di Fabio? Enzo Lazzarini, che ha buona memoria di tutti gli altri passaggi, non ricordava trattarsi di una vendita di seconda mano e non possiede più - ovviamente è andato in pensione - i registri del suo negozio. Però, dal registro armi del Ministero ci sarà modo di saperlo e di scoprire se quella Feg potrebbe - almeno da un punto di vista meramente cronologico e probabilistico - esser stata usata da qualcuno della banda.
Comunque, resta il mistero di una pistola che unisce due nomi dell'inchiesta Uno bianca - quello di uno dei principali assassini e quello di uno della cerchia familiare e amicale dei Savi -, ma che è stata occultata per troppo, dopo la scoperta della banda, dall'"azzurra vision di San Marino".
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