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UNO BIANCA / INTERVISTA

Mitilini: "E' venuto il momento di dare delle risposte"

"Se quella Feg non è stata periziata, qualcuno deve spiegare il perché"

Mitilini: "E' venuto il momento di dare delle risposte"

La notizia di una pistola, appartenuta a Fabio Savi e probabilmente mai periziata prima del processo alla Banda della Uno bianca,  "sconvolge, ma relativamente" alcuni dei familiari delle vittime dei criminali che insanguinarono Bologna e l'Emilia Romagna, tra il 1987 e il 1994 e, tra questi, in particolare, Ludovico Militilini, fratello di Mauro, (nella foto in basso, ritratto nell'immagine che campeggia nella sepoltura di Casoria), uno dei tre carabinieri assassinati al Pilastro e tra i più impegnati, nella battaglia civile per la riapertura delle indagini su quei crimini ormai lontani.

Dunque, non le appare più strana di tanto, questa notizia?

"Intanto, va detto che noi familiari siano sempre grati a chi mantiene alta l'attenzione, per di più con investigazioni giornalistiche serie e puntuali, sulle vicende che hanno colpito così duramente le nostre famiglie. Poi, per quanto non si finisca mai di sorprendersi, si tratta dell'ennesima prova delle smagliature che hanno caratterizzato l'inchiesta di tanti anni fa".

Una pistola almeno apparentemente non periziata è una smagliatura alquanto vistosa, non crede?

"Certamente, anche perché in questo genere di indagini, le perizie servono per associare (o per escludere) certe armi ai delitti che sono stati consumati. Sinceramente, seppur anche tra le carte che ho visto personalmente non trovo traccia di un'analisi di quella Feg, spero vivamente che si tratti solo di un equivoco, di un errore, di un riscontro di cui, magari, si è persa traccia, ma che era stato fatto. Perché, altrimenti..."

... altrimenti?

"Altrimenti sarebbe difficile continuare a credere nella "buona fede" anche nel caso dei tanti errori gravi e sviste clamorose che abbiamo denunciato negli esposti che sono stati depositati. Io, personalmente, ho già incaricato i miei legali di approfondire questa vicenda sollevata dal vostro giornale".

A proposito degli esposti: sono trascorsi quasi tre anni, da quando fu presentato il primo, e uno almeno, da quando è stato depositato quello a firma sua e di altri familiari: come si stanno muovendo le cose?

"Sicuramente, si tratta di indagini difficili, su cui siamo certi che, come ci è stato detto, Procura, Polizia e Carabinieri si stiano impegnando. Siamo anche consapevoli di quanto, in queste inchieste, il Tempo sia nemico della verità, dovendo ricostruire fatti lontani e ricercare persone che chissà che fine hanno fatto. Però, credo anche che sia venuto il momento di avere qualche risposta e confido che presto si conosceranno gli esiti del lavoro svolto dai magistrati di Bologna".

Ci indichi qualche zona d'ombra, su cui maggiormente vorrebbe che si facesse un po' di luce.

"Una la conosce benissimo anche lei: è incredibile che, a trent'anni e passa dai depistaggi compiuti, non esista una spiegazione del perché Domenico Macauda (foto in basso) abbia sviato le indagini sulla morte dei suoi colleghi Cataldo Stasi e Umberto Erriu e su quella di Carlo Beccari. Un vuoto inaccettabile, per colmare il quale, forse, non si sarebbero dovuti aspettare i nostri esposti, ma si sarebbe dovuto muovere chi di dovere di sua iniziativa. Poi, per esempio, la vicenda dell'Alfa 33 che, poco dopo l'eccidio del Pilastro, raccoglie gli assassini a San Lazzaro: quella macchina - targata BO P4... - fu cercata anche tra i mezzi della Polizia di Stato, senza esito, ma si sarebbero dovute allargare le ricerche anche in altri ambiti, anche di altre forze dell'ordine".

Nelle sentenze, a proposito di alcuni di questi episodi, si scrive spesse che sarebbero originati da testimonianze poco affidabili o, comunque, non certe.

"La verità è che al processo ai Savi ci si è accontentati troppo delle "confessioni" degli imputati e di alcuni loro congiunti, sorvolando sulle indicazioni, spesso precise, ma evidentemente "problematiche", di uomini e donne che avevano assistito alle tragiche azioni dei killer. Si pensi nuovamente a Castel Maggiore: sono stati condannati Fabio e Roberto, ma i testi hanno parlato di tre persone, di una è stato fatto anche un identikit che non corrisponde alle fattezze dei due e la stessa sentenza è costretta ad ammettere la possibilità di questo terzo complice. Eppure, chi lo ha più cercato, questo ulteriore assassino? Inltre, torno alla Feg, all'arma del vostro articolo: se non è stata periziata, perché si sarebbe trascurata una pistola giunta nelle mani dei Savi da un suo amico, Riccardo Mazza, per di più coinvolto tra i primi nelle indagini sullo stesso Fabio?"

E' appena uscito il nuovo libro dell'ex-pm Giovanni Spinosa, teso a collegare gran parte, se non tutta la tragica epopea della banda con la storia della fantomatica Falange Armata. Lo ha già letto e, se sì, cosa ne pensa?

"Sto leggendo quel testo e sto riflettendo su alcuni spunti che potrebbero risultare interessanti, ma voglio precisare una cosa: puntare così in alto, in primo luogo, mi sembra un modo per evitare di guardare "in basso", di evitare quella ricostruzione più precisa e puntuale di quanto avvenne e di quanto non fu fatto e da cui, secondo me, tante delle risposte che cerchiamo si potrebbero ricavare. Spinosa, per altro, quelle carte dovrebbe conoscerle bene, visto che condusse personalmente quasi tutte le inchieste principali: potrebbe parlarci di questo, prima o insieme alle altre ipotesi che va trattando".

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