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CRIMINALITA'
12 Marzo 2025 - 18:07
Francesco Caleca, a sinistra in una foto di repertorio
Una sorta di "pax mafiosa", orientata al profitto, sembra aver preso piede fra le famiglie di 'ndrangheta che, fra gli anni '90 e i primi 2000, si sono confrontate per il controllo del territorio, spargendo sangue in Emilia e Calabria. Inoltre, un "ritorno alla tradizione" si è delineato con la formazione di un nuovo gruppo che, accanto ai reati finanziari sofisticati. caratteristici delle mafie imprenditoriali del Nord, non disdegnava di ricorrere alla violenza, disponendo di armi pronte all'uso.
Questa duplice dinamica è emersa dall'operazione "TEN", coordinata dalla Direzione Antimafia di Bologna e condotta a Reggio Emilia, dieci anni dopo il maxi-processo Aemilia contro le cosche calabresi. Nell'inchiesta, che coinvolge complessivamente 20 indagati e ha portato all'arresto di cinque persone per associazione a delinquere di stampo mafioso, è stato smantellato in particolare un gruppo "parafamiliare" guidato da Giuseppe Arabia, 59 anni.
Quest’ultimo è fratello di Salvatore Arabia, braccio destro e parente del defunto boss Antonio Dragone, assassinato nel 2003 a Steccato di Cutro, in un agguato da parte degli "scissionisti" legati ai Grande Aracri, poi emersi vincitori.
Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza e dalla Squadra Mobile della Questura di Reggio Emilia, hanno preso avvio nel 2018, seguendo percorsi distinti che si sono poi intrecciati. Un'indagine che ha persino portato a rivisitare i documenti dei processi precedenti, reinterpretando i fatti alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulla famiglia Arabia.
Come illustrato dal Procuratore facente funzioni di Bologna, Francesco Caleca, "quella colpita oggi è una struttura organizzativa perfettamente integrata nella cosca di 'ndrangheta presente e storicamente radicata a Reggio Emilia". Un'organizzazione che, come spesso accade, "ha un proprio nucleo familiare genetico e manifesta nella sua composizione un duplice aspetto: da un lato, il superamento delle antiche divisioni tra i Dragone e i Grande Aracri; dall'altro, evidenzia una capacità rigenerativa della cosca che non solo resta presente, ma arruola nuove leve coltivandone la formazione mafiosa".
Caleca prosegue sottolineando come "l'idea che le mafie al nord abbiano perso il loro carattere militare, feroce e violento per diventare imprenditrici, venga smentita da questa inchiesta, dimostrando che tale cambiamento è solo superficiale, poiché la profonda natura intimidatoria persiste in maniera tangibile". È stata inoltre "accertata la disponibilità di armi, un dato preoccupante, ma va sottolineato che l'attenzione degli inquirenti non ha mai subito cali", conclude il procuratore facente funzioni.
"Il nome dell'operazione TEN richiama i dieci anni di Aemilia," spiega il sostituto procuratore Beatrice Ronchi, evidenziando come "la violenta guerra tra i Grande Aracri e i Dragone, che ha imperversato fino alla metà degli anni 2000, permetta oggi di delineare un quadro che integra la 'ndrangheta di stampo tradizionale militare con quella imprenditoriale". Emergono infatti "azioni punitive, vendicative, intimidatorie, e un'importante disponibilità di armi, sempre accompagnate dal vortice delle false fatturazioni", aggiunge Ronchi. In sostanza, in Emilia, "le antiche rivalità che avevano portato al conflitto sono state accantonate e superate per perseguire l'obiettivo comune della struttura mafiosa: l'arricchimento massimo, superando rancori, antipatie e conflitti passati", conclude il pm.
"Le nuove generazioni", sottolinea il tenente colonnello Maria Concetta Di Domenica della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, "considerano il lucro il loro scopo principale, superando i limiti familiari ed etnici per raggiungerlo". Il questore di Reggio Emilia, Giuseppe Maggese, aggiunge che si tratta di "una battaglia cruciale che stiamo combattendo con tutti i mezzi a nostra disposizione, senza alcuna intenzione di retrocedere".
A Giuseppe Arabia, che ha scontato una pena detentiva dal 2005 al 2014, pur mantenendosi in contatto con i sodali, tra cui due suoi nipoti, e dirigendo gli affari illeciti anche durante la detenzione, vengono contestati ulteriori reati, tra cui la truffa. In merito alle armi, numerose intercettazioni telefoniche ne discutono anche l’aspetto tecnico per il loro utilizzo. Inoltre, nella primavera del 2019, la Polizia di Reggio Emilia ha sequestrato armi occultate in un gommone sgonfio caricato inconsapevolmente su un camion dal trasportatore.
Il valore delle fatture false individuate ammonta a 1,8 milioni di euro, utilizzate da 12 aziende principali, mentre il guadagno per il clan, sequestrato, è stato di circa 326.000 euro. È stata scoperta anche una società cartiera "parziale", che emetteva fatture inesistenti, ma svolgeva in parallelo attività reale di mercato.
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