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"Non ho ucciso mia figlia": la madre di Saman Abbas dichiara la sua innocenza

Anche il padre ha ribadito la sua estraneità all'omicidio della figlia

"Non ho ucciso mia figlia": la madre di Saman Abbas dichiara la sua innocenza

«Non sono stata io a uccidere mia figlia». Con queste parole, Nazia Shaheen, madre di Saman, ha espresso il suo dolore e la sua innocenza tra le lacrime, durante la sua deposizione presso la Corte d’Assise d’Appello di Bologna. La donna, abbigliata con un tradizionale vestito pachistano e un velo blu scuro sul capo, ha parlato attraverso un interprete. «Sebbene sembri viva, mi sento morta e trascorrerò la mia esistenza piangendo finché non morirò. Ho insistito per tornare in Italia per raccontare la verità. Non riesco a dimenticarmi di Saman, il suo ricordo è sempre con me».

Nel corso delle dichiarazioni spontanee, Nazia Shaheen ha narrato la sua versione dei fatti di quella tragica sera del 30 aprile 2021. «Siamo usciti insieme; ho visto Saman che si allontanava velocemente, poi l’ho vista sparire» ha riferito la donna, chiedendo poi una sospensione dell’udienza. Ha spiegato che quella sera Saman aveva manifestato la volontà di tornare in comunità, mentre lei e il marito cercavano di dissuaderla.

Anche Shabbar Abbas, padre di Saman, condannato anch'egli all’ergastolo in primo grado, ha ribadito in appello la loro estraneità all’omicidio della figlia, il cui corpo è stato rinvenuto sepolto nei pressi dell’abitazione un anno e mezzo dopo la sua scomparsa. «Come ha raccontato mia moglie, uscimmo di casa e Saman si avviò sulla strada; era buio e non vedemmo nulla», ha dichiarato Abbas, che ha testimoniato in lingua pachistana con l’ausilio di un traduttore.

L’imputato ha inoltre riportato un episodio avvenuto poco prima: «Pochi istanti prima, Saman aveva fatto una chiamata dal bagno, dicendo ‘vieni a prendermi’. Pensavo si riferisse al suo ragazzo, così contattai Danish per avvertirlo di darle una lezione, ma senza esagerare», ha precisato Abbas, riproponendo una versione già espressa in primo grado a Reggio Emilia. «Uscii per assicurarmi che nulla di grave accadesse, ma non vidi e non sentii nessuno. Il mattino successivo chiesi a Danish cosa avessero fatto con il ragazzo, ma mi risposero che non era successo nulla, che non erano nemmeno arrivati sul posto. Successivamente, siamo partiti per il Pakistan».

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