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POLITICA
26 Marzo 2025 - 16:15
Andrea De Maria, deputato del Partito democratico, non ha dubbi: "Gli attacchi della destra a Romano Prodi sono inaccettabili e strumentali. La storia e la personalità di Prodi sono la migliore risposta a questa campagna sinceramente indecente. A Romano vanno tutta la mia stima ed il mio affetto".
Potrebbe anche aver ragione, in un Paese normale, dove un "buffetto", una "tiratina di capelli", uno "scappellotto" fossero considerati - a chiunque dati - solo per quello che sono. Ma l'Italia non è un Paese normale, è la nazione in cui esiste il Pd. Ed proprio il Pd che, a ogni pie' sospinto, vorrebbe affermare - dai banchi di scuola a quelli di lavoro, dalle piazze più affollate all'intimità più recondita di ciascuna casa - come ogni gesto anche minimamente ineducato, anche la parola anche solamente poco continente, specialmente se rivolti a una donna, sono VIOLENZA. Sì, tutto maiuscolo e in grassetto, come stampato a lettere subitali, nei manifesti di una nota campagna contro la "violenza di genere" pagati dalla Regione Emilia Romagna.
Non è colpa di nessuno, quindi, se anche nel centrodestra qualcuno si sia convinto che le cose stiano in questa maniera e, di conseguenza, abbia valutato come violento e ingiustificabile il gesto di Prodi ai danni della giornalista di Rete 4, Lavinia Orefici.
Semmai, De Maria potrebbe lamentarsi meglio di un altro fenomeno, di un'ostinazione che ancora si riscontra, non tanto nel campo avverso della politica, ma proprio in tutta quella parte di società italiana - circa l'80% - che non è iscritta, non vota e non si sente rappresentata dal Partito democratico: quella di non accettare come le regole - etiche, morali o di legge - valgano sempre e solo per tutti, tranne che per gli esponenti della Sinistra.
Gli esempi, seri e faceti, sarebbero infiniti.
Ricordate le sparate sulla società ingiusta di un noto cantautore genovese, sostenitore del Pci e dei partiti da lì gemmati, cantore della onesta diversità, quasi antropologica, genetica di quelli come lui? Poi, fu beccato con qualche milione di euro in Svizzera - Stato non esattamente noto per il suo socialismo reale - e, dunque, gli italiani ascoltarono Gino Paoli esibirsi, sui guadagni in nero, in una cover di un pezzo già eseguito da Bettino Craxi: "Era un sistema diffuso. Lo facevano tutti". Per altro, parte di quei soldi non regolari erano proventi di esibizioni ai Festival dll'Unità, cioè, ricevuti off-shore dalla dirigenza di un partito che vorrebbe crocifiggere sulla pubblica via, casomai, il barista che non registra un caffè per salvare il suo stipendio e il suo piccolo esercizio.
E la presidente della Camera, feroce femminista, che ebbe non pochi problemi, a causa dei rapporti economici con alcune sue collaboratrici, domestica e parlamentare? Anche in quel caso, a chi le chiedeva spiegazioni, Laura Boldrini rispose che si trattava di una "campagna d'odio".
Per non parlare, poi, delle piccole cose. Chi ricorda le severe reprimende contro il "berlusconismo salottiero", contro i "nani e le ballerine" del Cavaliere, del "degrado della politica da Billionaire", ai tempi dei governi di Massimo D'Alema? Salvo restare alquanto in imbarazzo, sfogliando la non propriamente eccellente rivista Chi - non eccellente dal punto di vista politologico - e vedervi ritratta una scatenata Giovanna Melandri, in Kenia, a ballare proprio a casa di Flavio Briatore. D'Alema che, a sua volta, a un giornalista torse il polso, quando gradendo le domande che gli venivano rivolte.
Si potrebbe parlare anche - anzi, sarebbe doveroso, in questo contesto - della vicenda di Aboubakar Soumahoro e dell'ipocrisia a fini di lucro che si fa dell'accoglienza sui migranti, ma sarebbe come sparare sull'ambulanza, come si usa dire.
Anche perché, in fondo, si tratta di un vizio antico e di una storia vecchia: la moralità, l'onestà l'etica del Partito democratico, dai tempi del Pds, è rappresentata da un nome e da un cognome, sconosciuto quasi a chiunque, fino a quando non emerse dalle carte di Tangentopoli: quello di Primo Greganti.
Chi si ricorda più, ormai, di questo jesino che, glorificato col soprannome di Compagno G, pur facendo le stesse cose che facevano socialisti, democristiani, socialdemocratici e liberali e repubblicani, venne descritto come l'esempio di chi, anche nella ruberia, è diverso, perché, se lo fa, lo fa il partito. Sotto intendendo: per il partito giusto, quello che si batte per i diritti di tutti. Anche se spesso viene pescato a preoccuparsi principalmente del benessere dei suoi dirigenti...
Tornando a Prodi, c'è qualcosa di ancor peggiore, nella vicenda che lo riguarda, del gesto stesso che ha compiuto e del tentativo di dire di non aver fatto quello che, invece, tutti i video dimostrano. Ed è il fatto che, per difendere l'ex-tutto del Centrosinistra italiano, molti esponenti del Pd non si sono fatti scrupolo nel denigrare, più o meno direttamente, la Orefici, accusandola di essere, più o meno, una "poco di buono" del giornalismo nostrano, di essersela "andata a cercare" con le sue domande inopportune, di aver "provocato" la reazione del professore col suo comportamento. Non assomigliano tanto, queste espressioni e questi accenti, alle giustificazioni che, tante volte, si sono udite in tribunale proprio nei casi di violenza contro le donne? Non sono quel genere di argomentazioni che proprio le femministe e i progressisti in genere definiscono semplicemente irricevibili, prive di qualsiasi dignità e importanza, spia solo della colpevolezza e della malafede di chi le pronuncia?
Forse, si tratta anche in questo caso di un abbaglio e sono gli altri a non capire che, in fondo, Prodi è solo diversamente maleducato, quindi, non assimilabile ad altri personaggi rozzi o imputabile per i suoi gesti, quali che siano.
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