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STUDENTI IN AGITAZIONE

Stanno per essere occupati anche Sabin e Righi

A fianco dei "collettivi" si schierano anche dei docenti, mentre molti genitori sono perplessi

Stanno per essere occupati anche Sabin e Righi

Il liceo Righi

A Bologna, i collettivi continuano a soffiare un vento di protesta dalle scuole superiori. Dopo le recenti mobilitazioni all’Arcangeli, al Minghetti e al Copernico, anche i licei Righi e Sabin si preparano all’occupazione. È la voce degli studenti a farsi sentire, con striscioni, assemblee plenarie e una presenza visibile, dentro e fuori i cancelli degli istituti.

Al Righi, questa mattina il Collettivo ha dato appuntamento alle otto nella sede centrale di viale Pepoli. Dalle prime ore, sui social sono iniziate a circolare le immagini dello striscione “Righi occupato” e di un cortile gremito. All’interno dell’istituto, riferiscono gli studenti, si è tenuto un pranzo sociale e si prevede un dibattito aperto nel pomeriggio sui punti del manifesto del Collettivo, al quale sono invitati anche i docenti. “Sosteniamo l’occupazione”, affermano gli organizzatori.

Nel frattempo, anche al liceo Sabin il movimento ha preso corpo. Dopo giorni di attesa, questa mattina gli studenti si sono riuniti fuori dai cancelli per poi entrare e dar vita a un’assemblea nel cortile interno, proprio durante le prime ore di lezione. “Ci è stato detto che non possiamo farcela senza l’aiuto degli esterni, ma vogliamo dimostrare il contrario”, si è sentito dal megafono. La protesta, qui, nasce da una forte denuncia sulla carenza cronica di spazi in uno dei licei più frequentati della città, unita a critiche alla gestione ministeriale della scuola pubblica, con un riferimento diretto al ministro Giuseppe Valditara.

Le occupazioni studentesche che attraversano Bologna in queste settimane non sono episodi isolati. Si inseriscono in un quadro più ampio di mobilitazione giovanile che sta interessando molte città italiane. Il punto di rottura sembra essere duplice: da un lato, la percezione di una scuola che non riesce più a garantire condizioni adeguate di apprendimento e partecipazione; dall’altro, un senso di distanza crescente tra le istituzioni e i bisogni quotidiani degli studenti. “Questi ragazzi ci stanno dicendo che la scuola non è più uno spazio neutro, ma un luogo che può e deve essere trasformato attraverso il confronto e l’azione”, commenta una docente del liceo Sabin che ha scelto di partecipare all’assemblea. “E anche se i metodi possono far discutere, il messaggio che lanciano non può essere ignorato”.

Tra le motivazioni espresse dai Collettivi emerge con forza il tema degli spazi scolastici insufficienti, soprattutto nei licei con un numero crescente di iscritti. A questo si aggiungono richieste più ampie: una scuola pubblica più inclusiva, una didattica meno nozionistica, e un rapporto meno gerarchico tra studenti e istituzioni.

Non manca, naturalmente, chi esprime dubbi o critiche. Alcuni genitori e membri del personale scolastico si interrogano sull’efficacia delle occupazioni come forma di protesta e sui limiti di un’azione che, se protratta, rischia di compromettere il percorso formativo. Altri, invece, vedono nella protesta un’occasione educativa, un momento reale di cittadinanza attiva.

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, più volte citato dagli studenti nelle loro critiche, per ora non ha rilasciato dichiarazioni dirette sui fatti di Bologna. Ma il suo nome ritorna spesso nei cartelli e nei discorsi amplificati dai megafoni: simbolo, per molti, di una gestione troppo distante dalla scuola reale. A Bologna intanto la mobilitazione non sembra destinata a esaurirsi in pochi giorni. I Collettivi parlano di “autogestione consapevole”, lanciano dibattiti tematici e coinvolgono insegnanti e associazioni. L’impressione è che più che una sfida all’autorità, si stia delineando un esperimento di partecipazione attiva e autodeterminazione, che chiama in causa anche gli adulti: non solo per ascoltare, ma per trovare nuove forme di dialogo intergenerazionale.

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