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EDITORIALE
09 Aprile 2025 - 17:31
Il così detto Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione
La Suprema corte di Cassazione, valutando una situazione concreta, su cui era stato presentato ricorso, ha stabilito - contrariamente a quanto deciso di recente del governo guidato da Giorgia Meloni, su input particolare di Matteo Salvini - che nella carta d'identità dei minori non vengano più indicati "mamma" e "papà" dei bambini, ma si usi, più genericamente, il termine "genitore".
La ragione che ha indotto i magistrati ad assumere la decisione è abbastanza intuitiva: il modello Cie, predisposto dal Viminale, non garantisce perché non rappresenta tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione. In parole più semplici, avendo la legge riconosciuto il diritto alla genitorialità anche alle coppie omosessuali, le espressioni tradizionali con cui si indicano i genitori rischiano d'ingenerare confusione e di non testimoniare l'effettivo stato familiare dell'intestatario del documento.
Immediata la reazione giubilante di Laura Boldrini, secondo la quale i giudici avrebbero "messo fine a una forma di bullismo di Stato perpetrata per anni da Salvini e da Meloni che ne ha fatto oggetto della sua propaganda politica. Anni passati a seminare odio contro qualsiasi famiglia fosse differente da un presunto modello di 'famiglia tradizionale' in cui non rientrano neanche le loro, di famiglie".
Per una volta, però, se è indubbio che la Cassazione ha assestato dei ceffoni giuridici ai politici, a ben vedere, li ha distribuiti in modo bypartisan, come s'usa dire.
Da una parte, infatti, ha messo a nudo l'ipocrisia o l'impotenza di chi, non avendo il coraggio di chiedere l'abrogazione delle norme che consentono l'adozione da parte delle coppie omosessuali, tenta surrettiziamente di far finta di opporsi a queste realtà con mezzucci semantici o con cavilli burocratici di ben corto respiro.
Dall'altra, però, sentenziando che un bambini non può avere due padri o due madri, oppure che non può avere una madre maschio o un padre femmina, certifica implicitamente la diversità delle famiglie omosessuali da quelle tradizionali: entrambe legittime, davanti alla legge attuale, ma diverse. Il che, conoscendone le posizioni, non risulterà gradito a tante associazioni "arcobaleno".
Per di più, imponendo il termine "genitore" per i documenti - che, nella lingua italiana ha anche una forma femminile, "genitrice" - i magistrati hanno implicitamente rifiutato di allinearsi all'ideologica linguistica Shwa, restituendo piena dignità, appunto nei casi in cui il sesso della persona indicata non assume più un ruolo fondamentale, al genere neutro, anche se identico, nella forma, al maschile. Con buona pace proprio della Boldrini, sacerdotessa di questa idiotissima e laica religione espressiva.
Tutto ciò potrebbe riaprire il dibattito sulla sensatezza di promuovere e legittimare forme familiari che non prevedono - in radice - la presenza di un padre o di una madre. Ma, appunto, questa è tutt'altra questione e che riguarda la politica. Una questione che i magistrati, almeno per una volta, non hanno affrontato, pur richiamando proprio i politici alle loro responsabilità, illuminandone anche i rispettivi limiti.
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