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25 aprile
24 Aprile 2025 - 13:23
Correva l'anno 1990. La Storiografia italiana era dominata dalla figura gigantesca di Renzo De Felice e il dibattito infinito sul Fascismo - benché si fosse ancora in piena Prima repubblica e i giudici "rivoluzionari" di Milano ancora di là da venire - temperato notevolmente dagli studi pubblicati dal celeberrimo professore de La Sapienza.
Da una pagina de "Il Resto del Carlino" venne uno scossone, anzi, un vero e proprio choc, per la Sinistra italiana e, in particolare, per il Pci e ancor di più per l'Anpi. Il partigiano comunista e presidente dell'istituto "Alcide Cervi" pubblica un articolo dal titolo. "Rigore sugli atti di "Eros" e Nizzoli". In poche ore, quel pezzo sconvolgente, non tanto per il contenuto, ma, appunto, per esser stato "firmato" da Otello Montanari, diventa il "chi sa parli", il sasso lanciato nello stagno putrescente dell'agiografia resistenziale, la richiesta - che dilaga in pochi giorni su tutta la stampa e nelle televisioni - di ripulire la memoria collettiva della Repubblica italiana dai miti radicati tra la fine degli anni '60 alla metà degli anni '80 e funzionali solo al progressivo avvicinamento dei comunisti alle stanze del potere.
Dunque, dopo aver dovuto digerire il concetto di "guerra civile", imposto dagli storici più affermati per descrivere l'Italia tra l'8 settembre 1943 e, appunto, mettendo in secondo piano, se non proprio archiviando quello di "guerra di liberazione", il 25 aprile 1945, l'intellettualità della Sinistra è messa con le spalle al muro, vedendo messa in discussione la narrazione manichea, secondo la quale, in quei due anni scarsi, "buoni" e "cattivi" erano rigorosamente divisi e identificati in campi assolutamente distinti e non equivocabili.
Gli italiani dimenticano spesso e rapidamente, ma, tra i primi ad attaccare Montanari, per "lesa resistenzialità", si distinse Giampaolo Pansa, il quale, dopo pochissimi anni, diventerà l'autore più noto e letto del filone "revisionista" sulla guerra partigiana, il più implacabile nel denunciare l'infinita sequela di crimini compiuti nei "giorni radiosi".
Cambiato il mondo e cambiato il sistema politico, in tanti auspicarono, alla luce di quella stagione, che il Paese potesse addivenire a una "memoria condivisa" - altra celebre espressione divenuta ormai usuale, nel dibattito pubblico -, anche in considerazione del fatto che il "mondo dei vinti" - quello rappresentato in Parlamento dalla Destra -, giunto al potere senza necessità di cambiare vestito - nell'autunno del 1993 e nella primavera del 1994 esisteva e vinceva le elezioni il Msi-Dn -, aveva comunque scelto autonomamente e coraggiosamente di lasciare definitivamente le sponde di un Nostalgismo ormai anacronistico e inutile, per tentare di contribuire alla creazione una nuova dimensione alla società nazionale libera dai retaggi del Novecento.
Un percorso, quella della Destra, non facile, contraddittorio, avvelenato da "fughe in avanti" e "cadute di stile" funzionali più agli interessi personali del suo leader dell'epoca, piuttosto che a un'evoluzione coerente ed equilibrata della Destra stessa. Comunque, pur con errori adornali, sempre un percorso orientato ad archiviare il passato, consegnando la Storia alla Storia (e agli storici).
Di contro, come un punching ball, la Sinistra italiana ha assorbito pazientemente tutti i colpi ricevuti in quegli anni, conformando la sua strategia alla linea demografica e attendendo che il tempo, facendo il suo corso, facesse passare a miglior vita le personalità più eminenti degli studi contemporanei, dallo stesso De Felice a Roberto Vivarelli, oppure polemisti come Pansa, limitandosi a impedire ad altri di quelle scuole di assurgere ad analoga notorietà. In questo, aiutata dalla nuova Destra, dimostratasi assolutamente allergica verso i propri intellettuali e assolutamente priva di una qualsiasi progettualità in campo culturale.
Il risultato è ora quello di oggi, con una Sinistra che rivivifica il Resistenzialismo d'antan e pretenderebbe - per altro, riuscendovi spesso - che l'intero Paese adottasse la propria visione delle cose passate nemmeno più come una "narrazione ufficiale" della Storia patria, ma, addirittura, come un'intangibile "liturgia laica", ammantata di dogmatica sacralità.
Anzi, la Sinistra italiana è riuscita ad andare anche oltre i risultati ottenuti negli anni '70 e temporaneamente annullati tra la metà degli anni '80 e il decennio successivo. Sì perché, allora, la "vulgata resistenziale" ebbe come fine solo quello di legittimare anche come forza di governo, al di là dei limiti posti a livello internazionale, il partito che, della Resistenza, era stato principale protagonista, cioè, il Pci. Oggi, invece, è diventata addirittura la "cartina tornasole", alla cui indicazione ci si dovrebbe attenere - o ci si attiene - per delegittimare di volta in volta questo o quell'altro avversario politico. Qualsiasi avversario della Sinistra, quali che siano i suoi radicamenti nelle vicende del secolo scorso.
Mai, come negli ultimi 10-15 anni, l'Antifascismo è tornato a essere "militante", cioè, pienamente attivo nel dibattito politico, pur in mancanza dell'avversario che ne costituirebbe la ragion d'essere.
Tanto è vero che, ampliando il concetto formulato da Michela Murgia, la Sinistra non si scaglia tanto o preferibilmente contro quelle formazioni che si dichiarano più o meno apertamente fasciste - che sono poco e ancor meno rappresentative e significative, nella politica nazionale -, bensì contro chi "fa il fascista", arrogandosi, la stessa Sinistra, il diritto incontestabile di stabilire quali sarebbero i comportamenti, gli stili e i linguaggi dello (inesistente) fascismo contemporaneo.
Tanto è vero che, domani, in tutte le piazze italiane, il leiv-motiv delle celebrazioni del 25 aprile non saranno i diritti universali che, per esempio, vengono calpestati in Medioriente o in altri parti del globo; ma i capisaldi politico-sociali del Partito democratico e dei suoi alleati in materia di immigrazione, lavoro, welfare e via discorrendo e che sarebbero attaccati, in Italia o nel mondo, ovviamente dalle azioni del governo in carica e da quelli non di sinistra che ora sono prevalenti un po' ovunque nel pianeta.
In altre parole, il 25 aprile non è una ricorrenza, bensì una sfilata di truppe cammellate e in armi, la cui funzione sarebbe di monito al resto della popolazione, affinché, prima o poi, oltre che sul piano mediatico, ne accetti l'egemonia tout-court, ricordando a tutti di poter usare - come i partigiani della fine del '45 - qualsiasi mezzo, per impossessarsi della società italiana, poiché qualsiasi mezzo, anche il più abietto, è legittimo, se a usarlo è la Sinistra.
Non è una festa per tutti, ma un'adunata di parte finanziata dal pubblico erario. Legittima, sia chiaro, ma, in realtà, anche poco amata e ancor meno sentita. Ed è facile capirne il perché.
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