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24 Aprile 2025 - 11:30
Durante la Grande Guerra, ci sono stati personaggi che oggi sono conosciuti per le loro gesta eroiche nelle trincee dei fronti occidentali, ma pochissimi conoscono le storie di quei soldati che non erano lì per abbracciare un'arma e uccidere l'altro. Alcuni hanno preferito prendere le loro capacità e i loro privilegi e aiutare chi veniva perseguitato, oltraggiato e sistematicamente assassinato. Questa storia sembrerà irreale, ma Armin T. Wegner ha vissuto da tale, fino alla fine. Questa è la sua storia.
Armin Theophil Wegner nacque il 16 ottobre 1886 a Wuppertal-Elberfeld, in Germania. Figlio di un padre magistrato e appassionato di letteratura, Wegner crebbe in un ambiente colto e attento ai temi della giustizia e della responsabilità civile.
Studiò giurisprudenza e medicina nelle università di Breslavia, Berlino e Monaco, ma coltivò parallelamente una grande passione per la scrittura e la poesia. Fin dai primi anni, pubblicò poesie, racconti e saggi che rivelavano una sensibilità etica e umanistica profonda, già lontana dal nazionalismo crescente dell’epoca.
Nel 1914, con lo scoppio della Prima guerra mondiale, si arruolò come ufficiale medico volontario nell’esercito imperiale tedesco. Inviato in Mesopotamia e nell’Impero Ottomano, fu assegnato alla Mezzaluna Rossa tedesca e al seguito delle truppe turche — proprio mentre prendeva avvio la deportazione sistematica della popolazione armena.
Fu lì che, nel 1915, assistette con i propri occhi all’orrore. E decise che non avrebbe taciuto.
Con una piccola fotocamera portatile, Wegner iniziò a documentare tutto. Scattò fotografie nei campi di concentramento armeni a Ras al-Ayn, Aleppo e Deir ez-Zor, tra il 1915 e il 1916. Quegli scatti — spesso realizzati di nascosto — sono oggi tra le pochissime prove visive sopravvissute del genocidio.
Per proteggerli, Wegner nascose i negativi cucendoli nella cintura e nei vestiti. Riuscì a riportarli in Europa, dove li pubblicò, esponendosi personalmente. In una Germania alleata dell’Impero Ottomano, denunciare quelle atrocità era un atto sovversivo. Ma Wegner decise che non avrebbe permesso che tali atrocità venissero rimaste nel silenzio.
Tornato in patria, Wegner scrisse articoli, lettere, denunce pubbliche. Chiese giustizia per gli armeni, inascoltato. Le sue fotografie iniziarono a circolare tra attivisti, religiosi, intellettuali. Ma il silenzio ufficiale rimase assordante.
Pagò il prezzo della sua coerenza: fu congedato con disonore dall’esercito, ostracizzato da molti ambienti, isolato. Ma non si fermò.
Nel 1933, con l'ascesa del nazismo, Wegner, che vedeva nelle leggi antisemite un pattern con quelle dell'Impero Ottomano, decise di compiere un atto di totale coraggio e audacità: scrisse una lettera aperta ad Adolf Hitler, condannando le leggi razziali e le persecuzioni contro gli ebrei, citando anche apertamente il suo orgoglio di essere tedesco e discendente di prussiani dei tempi delle Crociate.
Ma la risposta, come lo era stata per molti altri come lui, è stata brutale: Wegner fu arrestato, imprigionato dalla Gestapo e internato in diversi campi di concentramento, tra cui Oranienburg, Börgermoor e Lichtenburg. Venne poi rilasciato e scappò a Roma con un pseudonimo.
Armin T. Wegner non era armeno, non era ebreo, non era vittima. Era, semplicemente, un uomo che rifiutò l’indifferenza. In un’epoca in cui era più facile voltarsi dall’altra parte, lui guardò. Scattò e raccontò e il suo impegno a non distogliere lo sguardo gli avvalse alcuni riconoscimenti, tra cui il titolo "Giusto fra le nazioni" da parte del Yad Vashem e un invito da parte del Catholicos di tutti gli armeni (quello che si potrebbe considerare il 'Papa' degli armeni) di entrare nell'"Ordine di San Gregorio l'Illuminatore", ovvero un titolo di nobiltà armena, assegnato a persone che si sono distinti per il loro servizio e contributo alla Chiesa apostolica armena e alla cultura armena in generale.
Le sue fotografie sono oggi esposte nei memoriali del genocidio armeno in tutto il mondo. Sono apparse nei manuali scolastici, nei musei della Shoah, nei documentari. Sono immagini che parlano quando la Storia tace.
Un decennio prima della sua morte nel 1978, in un'intervista disse: "Non è sufficiente essere dalla parte giusta della storia. Bisogna anche avere il coraggio di agire mentre la storia si compie". Quelle parole, pronunciate da un uomo che aveva visto l’indicibile e scelto comunque di raccontarlo, restano oggi un monito lucidissimo: la verità non basta se non c’è chi ha il coraggio di sostenerla.
Armin T. Wegner lo fece, con la penna, con l’obiettivo, con la propria vita. E per questo la sua memoria continua a guardarci negli occhi a 110 anni di distanza.
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