"Centomila in piazza. Ma quanti lavorano?"
Numeri alla mano, una riflessione sulla disoccupazione, i sussidi, le promesse mancate e una memoria che si fa corta.
Conte raccoglie applausi, ma chi oggi cerca lavoro ricorda davvero cosa ha lasciato?
Nel dicembre del 2024, l'Italia registrava 1.593.000 disoccupati, con un tasso di disoccupazione del 6,2%.(mai così basso negli ultimi anni) Un dato che evidenzia non solo quanto il lavoro manchi, ma anche quanto, per alcuni, la necessità di lavorare sembri essere venuta meno. Durante i governi Conte (Conte1 e Conte2), il Reddito di cittadinanza è diventato uno strumento fondamentale per chi non aveva un’occupazione, con l’intento di garantire una “dignità” statale. Ma la realtà si è rivelata diversa: il sussidio è spesso diventato un’alternativa comoda al lavoro, specialmente nel Sud Italia, dove il costo della vita è più contenuto. Oggi, mentre centomila persone affollano una piazza a sostenere un possibile "Conte 3", vale la pena chiedersi: chi sono davvero questi sostenitori? E cosa rappresentano? Il paradosso del sostegno popolare a chi ha già governato Giuseppe Conte ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio due volte, dal 2018 al 2021. Ha avuto il tempo e la legittimità per costruire un'Italia più equa, moderna e dinamica. Ma i numeri raccontano un'altra storia: • Reddito di cittadinanza: Introdotto nel 2019, ha garantito un reddito mensile a chi non aveva un lavoro, ma più del 60% dei beneficiari ha rifiutato un’offerta di lavoro, alimentando il lavoro nero e l’inattività. • Disoccupazione: Nel 2020, sotto il governo Conte, il tasso di disoccupazione era dell'8,3%, salendo all'8,7% nel 2021. Oggi, con il governo Meloni, il tasso è sceso al 6,2%. • Crescita stagnante: Durante il biennio pre-pandemia, l'Italia non ha visto un reale aumento del PIL, mentre il debito pubblico è aumentato drasticamente. • Fallimenti simbolici: Dai banchi a rotelle, costati milioni e finiti in un magazzino, alla gestione disastrosa di Alitalia e ILVA. Eppure oggi, Conte è ancora accolto con entusiasmo. Perché? Una piazza emotiva contro un Paese che lavora in silenzio C’è una dissonanza evidente tra chi si mobilita nelle piazze e chi, ogni giorno, costruisce il proprio futuro nel silenzio del lavoro quotidiano. I numeri, pur non urlando, parlano: • I centomila in piazza sono una minoranza rumorosa. • Il milione e mezzo di disoccupati, spesso senza voce, attende soluzioni concrete. • I milioni di lavoratori che non ricevono sussidi, ma pagano le tasse, sembrano aver smesso di credere nelle piazze e attendono azioni concrete. Cosa sta facendo oggi il governo? Non è un elogio politico, ma un confronto necessario: • Il governo Meloni ha abolito il Reddito di cittadinanza nella sua forma originaria, sostituendolo con l’Assegno di inclusione, che è legato alla formazione e al reinserimento nel mondo del lavoro. • Ha ridotto lo spread, mantenendo la fiducia dei mercati. • Sta portando avanti il Piano Mattei, per garantire all'Italia un ruolo strategico nel Mediterraneo. • E, soprattutto, ha visto la disoccupazione scendere per la prima volta in modo costante dopo la pandemia. Conclusione: memoria corta o scelta consapevole? Quando una folla si raduna per chiedere il ritorno di un ex premier, sarebbe logico, prima di lasciarsi travolgere dall'entusiasmo, chiedersi: cosa ha lasciato davvero quel leader? E cosa è cambiato da allora? Il lavoro, in Italia, resta un tema centrale. Non basta emozionare una piazza, bisogna creare condizioni reali, offrire opportunità e valorizzare il talento. Chi lavora – o cerca di farlo – non ha sempre il tempo o i mezzi per scendere in piazza, ma ha il diritto di essere rappresentato. Non è detto che Meloni sia la risposta perfetta, ma è giusto darle il tempo di dimostrarlo, distinguendo ciò che eredita da ciò che costruisce. Certi errori del passato non dovrebbero essere nascosti dietro gli applausi di oggi. Da ex dipendente Telecom Italia, ho vissuto sulla mia pelle il declino di un settore strategico che è stato ignorato o sacrificato da governi distratti. Solo oggi, per la prima volta, vedo un tentativo concreto di salvaguardare un comparto essenziale per il futuro del Paese. Non ho nostalgia dei sussidi, ma ho fiducia nel lavoro. Non cerco leader da applaudire, ma governi che affrontino la realtà con responsabilità. E, in questa fase, il tempo per dimostrare resta l’unico giudice onesto.
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