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Bologna e il lavoro: la legalità come scelta di civiltà
Introduzione: quando i numeri non bastano

Crescono i numeri degli ispettori, crescono i controlli. Ma anche le morti sul lavoro crescono. Cosa stiamo sbagliando?

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Ispettori

Bologna, storicamente laboratorio politico e sociale, ha una nuova occasione per ridisegnare il rapporto tra impreselavoro e legalità.
Lo può fare non solo aumentando gli strumenti di repressione, ma ricostruendo una cultura della prevenzione che appare ancora deboleframmentata, spesso vista come un costo più che come un valore.
Numeri, percezioni e realtà: un corto circuito culturale
Negli ultimi anni si è assistito a un potenziamento dell'Ispettorato del Lavoro, anche grazie a un piano straordinario di assunzioni. Ma il dato che colpisce è un altro: l'aumento degli incidenti gravi e delle morti sul lavoro.
Segno che qualcosa non torna.
Il rischio è che si resti impantanati in una lettura emergenziale, dove il problema viene affrontato solo dopo l'accaduto. Ma la sicurezza non è un affare da affrontare solo quando ci sono le vittime. È un processo continuo, quotidiano, che deve coinvolgere tutti gli attori della filiera produttiva.
Dalla repressione alla prevenzione: una cultura da ricostruire
Il controllo, da solo, non basta. Serve una visione più ampia: quella della prevenzione.
Oggi, troppi imprenditori vedono l'ispezione come una minaccia, e non come un'occasione per correggere errori e proteggere la propria attività.
Questo accade perché il sistema è percepito come punitivo, burocratico, lento. Ma la prevenzione vera – quella che parte da una buona consulenza, da una formazione condivisa e da un rapporto costruttivo tra aziende e istituzioni – è ancora fragile.
Le stesse norme sulla sicurezza sono spesso complesse, mutevoli, talvolta scritte in un linguaggio che allontana invece di coinvolgere.
Le piccole e medie imprese, ossatura del sistema produttivo emiliano, non sempre hanno strumenti adeguati per stare al passo.
Eppure, una cultura della prevenzione può fare la differenza. Anche perché i costi della mancata sicurezza non sono solo economici: sono umani, relazionalisociali.
Una caduta in un cantiere, un lavoratore in nero che si ammala senza tutele, una paga non versata sono storie che lasciano segni, famiglie spezzate, fiducia erosa.
In questo senso, Bologna potrebbe tornare ad essere laboratorio di buone pratiche: un luogo dove si sperimenta una nuova alleanza tra pubblico e privato, tra diritto e impresa, tra etica e sviluppo.
Lavoro e legalità: la sfida è anche narrativa
Perché, in fondo, non si tratta solo di numeri normative. Si tratta di come il lavoro viene raccontato e vissuto.
Negli ultimi anni, complice anche la retorica del "lavoro che manca", si è insinuata una giustificazione sottile: meglio un lavoro irregolare che niente.
Una frase pericolosa, che normalizza l'abuso e smonta ogni azione di contrasto. Ma accettare che il lavoro, per esistere, debba rinunciare alla legalità è un pericoloso passo indietro.
Non può esserci libertà economica senza rispetto delle regole. Non può esserci equità se c'è chi evade e chi no. Non può esserci sicurezza se si muore per una distrazione, per una fretta, per una "zona grigia" lasciata così troppo a lungo.
Serve invece una nuova narrazione: il rispetto delle regole non è un vincolo, ma una scelta di civiltà.
E questa narrazione deve attraversare la scuola, l'università, le associazioni d'impresa, i sindacati, i media.
La legalità deve tornare ad essere un valore condiviso, non solo una pratica temuta.
Un ruolo per Bologna: città della cura, anche del lavoro
Bologna ha tutte le carte in regola per guidare questo cambiamento.
Non solo per la sua storia di innovazione sociale e di cooperazione, ma perché è una città in cui i luoghi del sapere – dall'Università al mondo della ricerca – possono incontrarsi con quelli del lavoro in modo autentico.
Qui l'intelligenza artificiale, per esempio, può essere applicata non per automatizzare il controllo, ma per renderlo umanotempestivo, giusto.
Gli algoritmi possono aiutare a individuare i settori a rischio, ma spetta alle persone – ispettori, formatori, amministratori – trasformare i dati in azione. E ancora: le aziende possono diventare protagoniste, non ostacoli, di questo processo.
Non solo attraverso l'adempimento, ma promuovendo una cultura della trasparenza, della tracciabilità, del rispetto.
I territori possono fare rete: dai quartieri alle Unioni dei Comuni, passando per le camere di commercio, la sfida si vince insieme.
La qualità del controllo come investimento etico
Quando si parla di "ispettori", si pensa spesso solo al loro numero. Ma c'è un altro aspetto fondamentale: la loro formazione continua, la loro autonomia, la loro capacità di leggere i contesti.
Un controllo efficace non è quello che punisce il più debole, ma quello che sa distinguere la negligenza dalla fragilità, la volontà di evadere da chi semplicemente non ha capito le regole.
Serve dunque una formazione multidisciplinare, che tenga conto dei cambiamenti del mercato, dell'ibridazione dei contratti, dell'evoluzione tecnologica. Non bastano competenze tecniche: servono anche sensibilità sociali, capacità di ascolto, strumenti per costruire fiducia.
In questo senso, anche le ispezioni dovrebbero diventare occasioni di apprendimento: per chi controlla e per chi è controllato. Non per indebolire il rigore, ma per potenziarne il senso. Controllare senza educare è esercizio sterile. Educare senza controllare è illusione.
Solo l'equilibrio tra le due dimensioni può generare vera prevenzione.
Guardare avanti: una proposta concreta
Che fare, dunque? Le strade sono chiare, ma occorre il coraggio di percorrerle.
Aumentare gli ispettori in modo stabile, non emergenziale. Serve un piano nazionale, ma anche una spinta locale.
I Comuni e le Regioni possono fare la loro parte, sostenendo progetti integrati, premiando le buone prassi, semplificando il dialogo tra enti.
Investire in tecnologia predittiva senza rinunciare all'umanità del controllo.
I dati servono, ma solo se usati con consapevolezza. La geografia delle irregolarità non è statica: va letta, capita, interpretata.
Favorire il dialogo tra le parti sociali per costruire una cultura condivisa della sicurezza. Sindacati e associazioni d'impresa non possono restare su fronti opposti.
Le alleanze trasversali sono più efficaci delle contrapposizioni ideologiche.
Coinvolgere la cittadinanza.
Il rispetto del lavoro non può essere solo compito degli addetti ai lavori.
Tutti siamo parte del sistema produttivo: come lavoratori, consumatori, cittadini.
Serve una consapevolezza diffusa, che parta anche dalle scuole e dalle famiglie.
Conclusione: il tempo della responsabilità
Ci sarà sempre chi evade, chi trucca, chi ignora.
Ma il dovere delle istituzioni, delle città, dei territori, è quello di non abbassare la guardia.
Il lavoro – quello vero – è un diritto e una responsabilità.
E Bologna, città che ha fatto della cura un tratto distintivo della sua identità, può e deve diventare anche la città che si prende cura del lavoro: con rispetto, con attenzione, con fermezza.
Il vero esercito che serve oggi non porta fucili.
Porta con sé una cartella, un codice, una visione. Sono gli ispettori, gli educatori della legalità, i garanti silenziosi di un patto sociale che non può più essere disatteso.
 

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