A San Pietro, nella magnifica cornice dell'ufficio papale, tutto era pronto per un incontro che avrebbe potuto segnare una svolta. Ma una sedia è rimasta libera. Era quella riservata a Vladimir Putin, che ha scelto di declinare l'invito, rinunciando così a una delle più grandi occasioni diplomatiche offerte alla Russia negli ultimi anni. Mentre i leader mondiali si confrontavano sul futuro, Mosca ha preferito ribadire le proprie distanze, affidandosi alle parole del portavoce Dmitry Peskov e del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, nel tentativo di difendere una posizione ormai sempre più isolata. Donald Trump, presente all'incontro, ha parlato con una lucidità inattesa: si è detto "molto deluso dalla Russia" e ha invitato Putin a "smettere di sparare" per arrivare finalmente a un accordo. Un giudizio netto, che riflette il cambio di passo negli Stati Uniti, sempre più determinati a chiudere un conflitto che si protrae nel tempo e lacera il continente. Volodymyr Zelensky, dal canto suo, si è mostrato "più calmo" e disponibile a cercare un'intesa, pur chiedendo nuovi aiuti militari. Durante il faccia a faccia con Trump ha ribadito il diritto all'autodifesa dell'Ucraina, trovando nel Vaticano e nella diplomazia internazionale una sponda morale importante. La questione della Crimea ha occupato un posto centrale nei colloqui. Trump, incalzato dai giornalisti, ha osservato che la Crimea "è stata ceduta anni fa, senza sparare un colpo", alludendo alle responsabilità delle precedenti amministrazioni americane. Un riconoscimento implicito che spinge a ripensare le condizioni stesse della pace. Mentre sul fronte occidentale si cercano spiragli, sul fronte orientale si aprono nuove ombre. La Corea del Nord, confermando il patto siglato con Mosca, ha inviato truppe a sostegno della Russia nella regione di Kursk, in una mossa che rischia di allargare ulteriormente il conflitto. La "ferma amicizia militante" tra Pyongyang e Mosca, esibita con orgoglio dai media nordcoreani, viene letta in occidente come un segno della crescente disperazione del Cremlino. Il pressing americano non si arresta. Il segretario di Stato Marco Rubio ha definito questa "una settimana chiave", precisando che "l'unica soluzione" possibile è un compromesso: "Entrambe le parti dovranno rinunciare a qualcosa che affermano di volere, e cedere qualcosa che non vorrebbero dare". Una visione pragmatica, ma anche una prova di quanto il tempo stringa. Alla fine, però, resta impressa l'immagine di quella sedia mancante a San Pietro. Un simbolo di vuoto, potente nella grande chance mancata da parte di Putin, che in nome di antichi orgogli ha preferito sfilarsi da un possibile cammino di riavvicinamento. Una rinuncia che pesa non solo sulle trattative di oggi, ma sulla storia di domani.
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