C’è chi parla di un dramma della disperazione, chi preferisce non giustificare l’orrore con parole tanto "comprensive". Lunedì mattina, via Colombo Lolli, Ravenna è stata teatro di una tragedia che lascia l’amaro in bocca. Enzo Giardi, 78 anni, ha ucciso sua moglie, Piera Ebe Bertini, 77 anni, affetta da Alzheimer da più di un decennio. La donna era ormai priva di qualsiasi lucidità, incapace di muoversi e comprendere. Giardi ha confessato ai Carabinieri di averla annegata nella vasca da bagno. Lui stesso ha chiamato le forze dell’ordine, parlando con una voce che probabilmente conteneva il peso di anni di assistenza in solitudine.
Le condizioni della donna erano così gravi che proprio quel giorno avrebbe dovuto essere trasferita in una struttura specializzata. Il timore di Enzo era che Piera non sarebbe stata accudita come si deve. Ed è qui che la vicenda si tinge di tragedia, perché Enzo non ha visto altra via se non quella più estrema.
Un dramma già visto?
Non è la prima volta che Ravenna è scossa da fatti del genere. A marzo 2022, un altro anziano, Claudio Cognola, uccise sua moglie, gravemente malata, per poi lanciarsi dal balcone. Solo un mese dopo, a Cotignola, Alvaro Strocchi uccise la sua consorte, colpita da un’ischemia, prima di togliersi la vita. Storie che si ripetono, storie di anziani che non ce la fanno più, storie di solitudini lasciate senza risposta. Quello che colpisce, oltre al gesto tragico, è la narrazione che segue. Le persone si dividono, si schierano come fossero in un’arena. C’è chi grida all’omicidio e alla sua inammissibilità, senza mezzi termini, e chi invece cerca di trovare una giustificazione. Federica Moschini, assessora al Welfare, è categorica: "L’omicidio non si giustifica mai". Ed è difficile darle torto.

Ma poi ci sono quelli come Andrea, che sui social scrive: "Più che omicidio, è un’altra tragedia della solitudine. I servizi sociali dove sono?". Un commento che tocca un nervo scoperto. La domanda resta sospesa nell’aria: davvero Enzo era solo? E se lo era, come è possibile che accada ancora? "Enzo Giardi era il mio vicino", racconta Daniela, un’altra utente. "Una persona ineccepibile, buona. Si è preso cura della moglie per anni, con dedizione e amore". Un uomo come tanti, forse, che si è trovato a combattere una battaglia troppo grande per le sue spalle.
E poi c’è Marco, che fa discutere con le sue parole: "Non giudichiamo quello che per me è un grandissimo gesto d’amore". Un’uscita audace, che spacca ancora di più l’opinione pubblica. Per Marco, la tragedia è figlia di un sistema che non consente un fine vita dignitoso. Si parla di eutanasia, di scelte impossibili in un Paese che sembra non voler affrontare il problema fino in fondo.
Ovviamente, non tutti sono d’accordo. "Non lasciamo passare questo gesto come amore", ribatte Prima, "se un parente non ce la fa ci sono le strutture". Valentina rincara la dose: "Nessuno ha il diritto di togliere la vita. L’atto d’amore è proteggere, non uccidere".

Non è facile giudicare da fuori, certo. Ma quello che appare sempre più evidente è il peso insostenibile che grava su chi si prende cura di un familiare malato, spesso senza il supporto adeguato. "Questa sofferenza, se lasciata sola, porta alla disperazione più estrema", scrive Alessandro. Le sue parole riecheggiano il grido di aiuto di chi vive queste situazioni ogni giorno, tra la fatica fisica e quella mentale. La sofferenza si accumula, diventa una prigione, e alla fine esplode.
Mara, un’altra commentatrice, chiude il cerchio: "Ci vogliono più aiuti, più sostegno da parte delle istituzioni. Non si può pensare di lasciare sole le persone in queste condizioni". Enzo Giardi ha spezzato due vite quel giorno, la sua e quella di Piera. Ma dietro il suo gesto c’è un’intera società che sembra fallire ogni volta che si lascia sola una persona ad affrontare il dramma della malattia. L’assistenza, la cura, il supporto: sono parole che rimbalzano nel vuoto se non trovano un’azione concreta. Una tragedia così non dovrebbe mai ripetersi. Eppure, come ci insegna la cronaca, succede ancora e ancora.