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L'inchiesta

Bologna, inchiesta sui falsi green pass: 117 persone indagate

Ben 117 persone, tra cui un biologo di 59 anni, ritenuto il fulcro di un sistema che ha prodotto centinaia di certificati falsi

Green pass falsi a Bologna: chiusa l’indagine, 117 indagati

Un sistema che ha prodotto centinaia di certificati falsi

A Bologna, l'inchiesta sui falsi green pass è giunta a una svolta decisiva. La procura ha concluso l'inchiesta, notificando l'avviso di fine indagine a ben 117 persone, tra cui un biologo di 59 anni, ritenuto il fulcro di un sistema che ha prodotto centinaia di certificati falsi. Le persone coinvolte sono accusate a vario titolo di falso ideologico in atto pubblico, truffa, accesso illecito a sistemi informatici e corruzione

Il biologo, operante in diversi ambulatori privati della città, è accusato di aver orchestrato una vera e propria "fabbrica" di falsi certificati di positività o negatività al Covid-19. La sua "collaboratrice", una parrucchiera, avrebbe procurato i clienti, fornendo i dati personali di amici e conoscenti desiderosi di ottenere un green pass senza sottoporsi al vaccino. Un business che, secondo le accuse, fruttava diverse migliaia di euro: un tampone positivo, utile per ottenere il green pass, costava 100 euro, mentre un negativo tra gli 8 e i 10 euro.

Le indagini, iniziate alla fine del 2021, sono state avviate dai carabinieri della compagnia di Molinella, insospettiti dalle dichiarazioni sui social di diversi "no vax" bolognesi. Questi, pur dichiarando di non essersi mai vaccinati, risultavano in possesso del green pass. Le intercettazioni telefoniche e le cimici posizionate nell'auto del biologo hanno permesso di ricostruire la rete di contatti e di falsi certificati. Tra gli indagati, oltre al biologo e alla sua collaboratrice, figurano un infermiere soccorritore, un commercialista, un'insegnante di yoga, avvocati e impiegati pubblici.



Il biologo, difeso dall'avvocato Duccio Cerfogli, è accusato anche di simulazione di reato. Nel febbraio 2022, denunciò il furto di una borsa contenente documenti e un tablet con i dettagli della sua attività illecita, nel tentativo di depistare le indagini.

Gli inquirenti hanno scoperto che il professionista eseguiva i tamponi in orari improbabili, anche a domicilio, per soddisfare la crescente domanda di falsi certificati.

Il caso ha sollevato un polverone, coinvolgendo non solo i diretti interessati, ma anche il sistema sanitario e la fiducia pubblica. Gli indagati, difesi da un pool di avvocati tra cui Gabriele Bordoni e Luca Portincasa, dovranno ora affrontare il processo.

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