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SALUTE & PREVENZIONE
13 Novembre 2024 - 13:56
Nel mondo della sanità tecnologica l’Italia gioca in difesa. I numeri parlano chiaro: solo il 43% delle persone con diabete di tipo 1 usa il sensore di monitoraggio glicemico e appena il 22% ricorre al microinfusore di insulina. A raccontare la situazione è Dario Pitocco, endocrinologo e direttore Uosa Diabetologia al Policlinico Gemelli di Roma: "Siamo nettamente sotto la media dei Paesi europei occidentali, dove il microinfusore viene usato dal 45% dei pazienti."
Sembra paradossale, visto che la tecnologia è un’arma fondamentale per chi convive con il diabete. I sensori e i microinfusori sono in grado di trasformare la vita di chi, fino agli anni '90, era esposto a ipoglicemie che stravolgevano la quotidianità. “Il sensore è una rivoluzione,” spiega Pitocco. “Ti segue tutto il giorno e permette di monitorare la glicemia ora per ora. Collegato al microinfusore, ha ridotto drasticamente gli episodi di ipoglicemia.” Eppure, in Italia la diffusione di questi strumenti nel diabete di tipo 2 resta desolante, non arriva nemmeno all’1%.
Ma perché siamo così indietro? Pitocco non ha dubbi: “Manca personale dedicato e specializzato nel trattamento tecnologico del diabete.” Tra pazienti che non trovano assistenza adeguata e un sistema sanitario che arranca nel sostenere i nuovi dispositivi, chi ci rimette sono i malati. Una contraddizione, considerato che la tecnologia consente un miglioramento del compenso metabolico e protegge da complicanze gravi come retinopatia, insufficienza renale, amputazioni e problemi cardiovascolari.
C’è ancora molto da fare, ma le prospettive per il futuro sono promettenti. Con l’intelligenza artificiale sempre più al centro delle nuove soluzioni, l’obiettivo è una gestione quasi “automatica” dell’insulina, vicina ai processi fisiologici naturali. Ma per arrivarci – avverte Pitocco – servono investimenti concreti: nella formazione del personale e nel supporto ai pazienti.
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