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13 Settembre 2024 - 10:30
Generazione Z e violenza: un fenomeno in crescita?
Parricidi, omicidi fra coetanei, stupri di gruppo e regolamenti di conti sono solo alcuni dei reati che vedono protagonisti ragazzi sempre più giovani. L'ultimo caso che ha scosso l'opinione pubblica è stato l'assassinio di Fallou Sall, un sedicenne ucciso con una coltellata in via Piave, a Bologna. Ma questo evento non è isolato: solo nelle ultime settimane, si sono verificati episodi di rapine, estorsioni e persino il ritrovamento di una pistola in una scuola media.
Secondo Isabella Cuculachi, psicologa specializzata in adolescenti e insegnante alle scuole superiori, il fenomeno della violenza giovanile è in crescita. «Ci sono dei dati che dimostrano la crescita del fenomeno nei ragazzi dai 14 anni, la cui percentuale dei casi fra prima e dopo la pandemia è del 14%. E lo dicono le tabelle della Direzione Centrale della Polizia Criminale. Dunque purtroppo è tutto vero, ma la cosa più dura è che a essere cresciuta è la ferocia», afferma la psicologa. La pandemia ha avuto un impatto devastante non solo sui giovani, ma su tutto il sistema familiare, contribuendo a un aumento della violenza.
Ma cosa spinge questi ragazzi a comportarsi in modo così violento? Secondo Cuculachi, uno dei fattori principali è la mancanza di rapporti fra pari durante la pandemia. «Per un ragazzo in età adolescenziale il gruppo dei pari è fondamentale perché è un confronto e dà stabilità. Chi ha avuto mezzi e supporto lo ha potuto superare, ma le famiglie che non hanno avuto mezzi economici ne hanno risentito», spiega. Inoltre, l'effetto emulativo di film, serie, videogiochi e musica violenta può rappresentare un modello negativo per i giovani, che cercano riconoscimento e possono arrivare a usare la violenza per ottenerlo.
Isabella Cuculachi
Un altro elemento cruciale è il degrado dell'istituzione familiare. «Un tempo, a prescindere da tutto, c'erano dei punti di riferimento che adesso mancano. Per un figlio avere come punto di riferimento anche un solo genitore va bene ugualmente, ma quando manca del tutto allora le cose possono degenerare e il figlio passa in secondo piano. La baby gang è anche famiglia. Una famiglia disfunzionale, ma una sorta di famiglia», sottolinea Cuculachi. La mancanza di opportunità e la sensazione di esclusione possono spingere i giovani a cercare riconoscimento e appartenenza in contesti devianti.
Un altro aspetto preoccupante è la scarsa conoscenza delle leggi e delle conseguenze delle proprie azioni da parte dei giovani. «Lavorando in una scuola superiore posso dire di no, agiscono senza conoscere le conseguenze delle loro azioni, ma anche per senso di onnipotenza. Credo anche che per certi versi sfugga il fatto che qualcosa sia percepita come effettivamente reale», afferma la psicologa. Questo senso di onnipotenza e la mancanza di consapevolezza delle conseguenze possono portare a comportamenti estremamente pericolosi.
Secondo Cuculachi, una delle soluzioni potrebbe essere l'introduzione di una nuova materia scolastica: l'educazione emozionale. «Si parla comunque poco di questi argomenti sia a scuola che a casa. Quando la TV smette di parlarne si smette di pensarci. Sarebbe utile invece trattare questi temi anche in classe con dei focus per aiutare i ragazzi a gestire le emozioni e sull'empatia», suggerisce. Inoltre, sarebbe fondamentale potenziare gli sportelli di ascolto nelle scuole, che attualmente sono spesso sottodimensionati.
Infine, Cuculachi offre alcuni consigli pratici per genitori e insegnanti su come intercettare i campanelli di allarme. «In generale secondo me bisogna ascoltare e osservare. Prestare attenzione ai cambiamenti significativi, all'isolamento, all'aggressività improvvisa o alla perdita di interesse che solo poco tempo prima invece piaceva. Insegnare ai propri figli a conversare apertamente e onestamente tenendo sotto controllo il giudizio», consiglia.
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