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La legge
15 Gennaio 2025 - 12:40
Il dibattito sullo scudo penale per le forze dell’ordine ha acceso non solo le aule del Parlamento, ma anche le chat private degli agenti. Mentre il governo Meloni porta avanti il disegno di legge che proteggerà poliziotti e carabinieri da indagini automatiche per fatti di piazza e casi più gravi, come omicidi, le tensioni salgono. Gli agenti, esasperati, chiedono regole chiare e la possibilità di agire con maggiore libertà, senza il rischio di finire sotto processo.
Le immagini degli scontri di Bologna e Roma sono ancora fresche: manifestanti scagliati contro le forze dell’ordine in una protesta per Ramy Elgaml. Gli agenti sono stati bersagli di petardi, bottiglie, tavoli e sedie di metallo. "Non possiamo più pagare di tasca nostra, basta indietreggiare", si legge in alcune chat, dove si invoca il "pugno duro" contro chi, secondo loro, minaccia l’ordine pubblico. La frustrazione monta anche per le critiche arrivate dai piani alti. L’ex capo della polizia Franco Gabrielli ha contestato le modalità dell’inseguimento fatale del giovane egiziano, attirandosi le ire di chi indossa la divisa. Al contrario, i vertici attuali come Salvatore Luongo e Vittorio Pisani hanno lodato la compostezza degli agenti, ribadendo l’importanza di garantire la libertà di manifestazione.
Dietro le quinte, però, il malcontento serpeggia. Gli uomini in divisa raccontano storie di turni massacranti e ferite fisiche e mentali. Un poliziotto in servizio a Bologna descrive il caos della piazza: "Tavoli di ferro, sedie, petardi. Ho visto i miei colleghi feriti. Io stesso ho preso una bottiglia in faccia". Le immagini circolate sui media non rendono l’idea di ciò che si prova sul campo: "Un conto è vedere i video, un altro è starci in mezzo". L’adrenalina, confessa, lo ha tenuto sveglio fino all’alba, dopo un turno iniziato nel tardo pomeriggio e concluso alle quattro del mattino successivo.
L’uso delle dashcam durante l’inseguimento di Ramy ha sollevato ulteriori polemiche. Alcuni ufficiali contestano la loro utilità, sostenendo che "ci mettono solo nei guai". Il dibattito si sposta poi sulla circolare del ministro Piantedosi che istituisce le “zone rosse” nelle città, un provvedimento che, secondo gli agenti, rischia di esporli ancora di più. "Ci sentiamo soli", ammettono. Il problema non è solo il confronto fisico con manifestanti spesso giovanissimi e organizzati in collettivi, ma anche il giudizio di una società che osserva e riprende ogni mossa con lo smartphone.
Le richieste delle forze dell’ordine sono chiare: maggiore tutela legale, mezzi adeguati e la possibilità di agire senza il timore costante di ripercussioni. "Se non fate qualcosa, finiranno per ammazzarci", è l’allarme che rimbalza tra gli uomini in divisa. La tensione è palpabile e la questione dello scudo penale, con tutte le sue implicazioni, non è solo politica, ma umana.
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