Talenti in fuga o in fiore? Come trattenere valore a Bologna senza “giardini dorati”
Per le imprese del territorio, la sfida non è solo attrarre talenti, ma coltivarli e farli restare. E Bologna può diventare un laboratorio d’innovazione umana, oltre che tecnologica.
Non è una distopia, ma una realtà accaduta davvero: Google ha lasciato a casa alcuni dipendenti, stipendiandoli pur di non perderli a favore della concorrenza. Si chiama garden leave e serve a trattenere competenze chiave anche in assenza di incarichi immediati. Ma a Bologna, nel cuore produttivo dell’Emilia-Romagna, dove le aziende spesso crescono su misura d’uomo più che di algoritmo, ci si chiede: come si trattengono oggi i talenti, senza potersi permettere il lusso dell’inattività retribuita? Bologna è una città vivace, universitaria, creativa. Un hub in cui manifattura avanzata, motor valley, food valley, logistica, biotecnologie e terziario spinto convivono. Eppure, proprio qui, come altrove, il tema della retention è diventato urgente. Secondo Unioncamere Emilia-Romagna, nel 2024 oltre il 35% delle imprese bolognesi ha segnalato difficoltà nel reperire personale qualificato. Le figure più richieste? Tecnici specializzati, progettisti digitali, esperti in supply chain e marketing. Il problema non è solo trovarli: è mantenerli. Il 41% dei giovani sotto i 35 anni in regione dichiara di non vedere possibilità di crescita nella propria attuale posizione, secondo un’indagine Nomisma per Confindustria. E intanto le dimissioni volontarie non si fermano: nel solo 2023, quasi 26.000 lavoratori hanno lasciato spontaneamente il posto nella provincia di Bologna, una cifra in crescita del 14% rispetto all’anno precedente (fonte: Ispettorato del Lavoro). Il punto è chiaro: le persone non si trattengono più solo con la retribuzione. Il lavoro è diventato un luogo in cui si cerca senso, prospettiva, relazione, equilibrio. Bologna può giocare un ruolo da protagonista, proprio perché unisce tradizione e innovazione, artigianalità e visione. Cosa possono fare oggi le imprese locali? • Costruire cultura aziendale, non solo organigrammi. • Favorire orizzontalità, dialogo e feedback, non solo controllo. • Dare spazio a idee e progetti “bottom-up”, anche nei reparti più tecnici. • Formare per crescere, anche chi ha 50 anni e un’esperienza decennale. • Misurare il benessere, non solo la produttività. Come sottolinea Confindustria Emilia Area Centro, la retention oggi non può più basarsi su leve tradizionali: servono nuovi strumenti per attrarre e trattenere competenze in linea con i cambiamenti culturali, tecnologici e generazionali. E proprio l’Emilia-Romagna può diventare una delle prime regioni a investire in modelli aziendali capaci di coniugare produttività e qualità della vita. Perché ogni volta che un talento se ne va, si perde molto più di un curriculum. E ogni volta che un talento resta, convinto e motivato, si guadagna molto più di un contratto. Non servono “giardini dorati”, ma radici forti, capaci di far crescere alberi e non solo numeri. In un territorio come il nostro, il capitale umano resta la vera leva competitiva. Non va trattenuto con la forza, ma con fiducia e visione.
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