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"Uno spietato assassino e manipolatore": ecco le motivazioni della condanna all'ergastolo per Giampaolo Amato

L'uomo condannato per l'omicidio della moglie e della suocera viene descritto anche come un narcisista patologico

"Uno spietato assassino e manipolatore": le motivazione della condanna all'ergastolo per Giampaolo Amato

Un "freddo e spietato assassino", "un manipolatore dei fatti, alimentato da un'altissima considerazione di sé e da un senso di superiorità intellettuale". Così è stato descritto dai giudici della Corte d'Assise di Bologna Giampaolo Amato, il medico di 65 anni, oculista ed ex professionista della Virtus, condannato all'ergastolo in primo grado per l'omicidio della moglie Isabella Linsalata, di 62 anni, e della suocera Giulia Tateo, di 87 anni.

Le due vittime sono state uccise attraverso un letale cocktail di farmaci, tra cui il Sevoflurano, un anestetico, e il Midazolam, una benzodiazepina. Nelle 280 pagine dedicate alle motivazioni della sentenza, l'imputato viene ulteriormente descritto come "un narcisista patologico". Secondo quanto riporta il tribunale, Amato avrebbe ucciso le due donne in quanto percepite come ostacoli fra lui e quella felicità che riteneva di meritare. L'uomo, infatti, intratteneva da tempo una relazione extraconiugale con una donna più giovane. Ai suoi occhi, una "vita consolidata nel lavoro e nella famiglia, seppure del 'Mulino Bianco'", non gli consentiva di rompere definitivamente con il passato, e in particolar modo con i figli, ai quali sarebbe profondamente legato.

Nel corso del processo è emerso come, per tre anni, Amato non sia riuscito a lasciarsi alle spalle la famiglia, nonostante le promesse fatte all'amante, e proprio in questa condizione di sofferenza e incapacità trovi una delle motivazioni alla base dei delitti. In ultima analisi, Amato avrebbe deciso di "eliminare gli ostacoli" rappresentati dalla moglie e dalla suocera, che altrimenti gli avrebbero impedito di mantenere il meglio del suo vissuto passato. La Corte lo considera un individuo pericoloso, poiché in lui esisterebbe "un lato oscuro che lo porta a convincersi di realtà da lui stesso costruite e tenute per vere, soprattutto per la convinzione di saper essere perfetto".

L'omicidio della suocera è stato giudicato "inscindibilmente collegato" a quello della moglie, rientrando entrambi in un disegno criminale più ampio con cui l'imputato mirava a liberarsi definitivamente dei legami familiari, ormai percepiti come catene oppressivi. "Nella determinazione della pena – concludono i giudici – non può essere ignorato il comportamento di Giampaolo Amato dopo i delitti, caratterizzato dalla pervicace coltivazione di una vera e propria ossessione nei confronti della donna con cui intratteneva la relazione extraconiugale".

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