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il caso
13 Febbraio 2025 - 15:12
"Ciò che è accaduto mentre era detenuto in una struttura carceraria italiana e, quindi, sotto la tutela dello Stato, risulta inaccettabile. La narrazione di ciò che ha vissuto ci ha sconvolto ancor più delle immagini che abbiamo osservato. Chiediamo che sia fatta giustizia, non solo per lui, ma anche per coloro che ancora oggi subiscono simili trattamenti e, come cittadina italiana, credo sia necessario anche per tutti quegli operatori che all'interno di quella struttura, così come altrove, esercitano il proprio lavoro in maniera adeguata, impeccabile e rispettando le norme". Così si esprime all'ANSA la cognata del giovane detenuto tunisino che il 3 aprile 2023 è stato vittima di un pestaggio presso il carcere di Reggio Emilia: lunedì 17 febbraio è attesa, davanti al Gup Silvia Guareschi, la sentenza riguardante dieci agenti di polizia penitenziaria accusati, a vario titolo, di tortura, lesioni e falso. La Procura, rappresentata dal pm Maria Rita Pantani, ha richiesto pene fino a cinque anni e otto mesi per gli imputati.
Il detenuto è stato incappucciato con una federa stretta intorno al collo, fatto inciampare, denudato e colpito con calci e pugni, anche quando si trovava a terra, calpestato. Successivamente, è stato condotto in cella, nuovamente malmenato e lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un'ora. Tutto ciò è stato documentato da un video ripreso dalle telecamere interne del carcere. Quando il filmato, agli atti dell'inchiesta, venne diffuso dai media un anno fa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio espresse "sdegno e dolore per immagini indegne di uno Stato democratico". "Dopo un anno, chiediamo che l'attenzione non diminuisca. La sentenza di lunedì deve costituire un monito per coloro che indossano quella divisa. Come ho già affermato, deve servire anche per quelli che operano in modo corretto, siamo convinti che la maggioranza degli agenti penitenziari non si comporti in quel modo e sappiamo che svolgere quel mestiere non è semplice. Noi confidiamo nelle forze dell'ordine e nel loro operato, non intendiamo attaccare le istituzioni, anzi, ringraziamo la Procura e tutti coloro che ci hanno ascoltato e sostenuto in questi mesi", prosegue la parente del detenuto, parte civile, rappresentato dall'avvocato Luca Sebastiani, "ma denudare, incappucciare e picchiare una persona in quel modo non può essere giustificabile", conclude.
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