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A Parma il primo "colloquio intimo" per detenuti, un precedente per i diritti affettivi nelle carceri italiane

Accolto il ricorso dell’avvocato Pina Di Credico dopo il no dell'istituto penitenziario a causa della mancanza di spazi idonei

A Parma il primo "colloquio intimo" per detenuti, un precedente per i diritti affettivi nelle carceri italiane

Un detenuto del carcere di Parma, appartenente alla sezione di alta sicurezza, sarà uno dei primi in Italia a poter usufruire del "colloquio intimo" con la propria consorte. Questa decisione è stata presa dal magistrato di sorveglianza in seguito all'udienza dello scorso venerdì, esito del ricorso presentato dall'avvocato Pina Di Credico del Foro di Reggio Emilia, in difesa del suo assistito. Successivamente, è stata emanata un'articolata ordinanza che documenta i passaggi che hanno portato a questo esito, creando un precedente significativo per altri detenuti. Il caso ha avuto inizio il 4 marzo dell'anno scorso, quando l'interessato ha richiesto alla direzione penitenziaria di svolgere colloqui intimi con la moglie, senza la supervisione diretta della polizia penitenziaria, come permesso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2024.

Tuttavia, l'istituzione carceraria ha rigettato la richiesta il 9 aprile, indicando come motivazione l'attesa di direttive dagli uffici superiori sulle modalità operative necessarie. In altre parole, al momento, la struttura non disponeva degli spazi adeguati per permettere tali incontri. L'avvocato Di Credico ha quindi avanzato un reclamo al magistrato di sorveglianza, denunciando l'ingerenza dello Stato italiano, vista la chiara indicazione fornita dalla Corte costituzionale, e sottolineando che è responsabilità della struttura predisporre gli ambienti adeguati.

Nell'accogliere il reclamo, l'ordinanza del magistrato Elena Banchi ha posto in evidenza il "pregiudizio grave e perdurante all'esercizio del proprio diritto a subire una pena non disumana" e la restrizione del diritto a mantenere un legame, specialmente fisico, con il coniuge. La questione era stata previamente affrontata dalla Corte costituzionale, che nella sentenza n. 10 del 2024, aveva dichiarato l'illegittimità della legge del 1975 nella parte in cui non prevedeva che il detenuto potesse svolgere i colloqui con il coniuge.

La Consulta ha auspicato un intervento legislativo che disciplini le modalità operative, stabilendo che la durata del colloquio dovesse essere "adeguata all’obiettivo di garantire un’espressione piena dell’affettività", e che le visite dovessero avvenire in luoghi appropriati, possibilmente riproducendo un ambiente domestico. Il magistrato di sorveglianza ha così imposto al carcere di Parma di provvedere "con la massima urgenza alla predisposizione degli spazi idonei", individuando soluzioni temporanee e stabilendo un termine di 60 giorni per conformarsi all'accoglimento del reclamo.

Intanto, la struttura potrà organizzare spazi idonei al suo interno per garantire colloqui privi di controllo poliziesco. "Ritengo che sia un’ordinanza di grande importanza, arrivata un anno dopo la sentenza della Corte costituzionale, considerando che gli istituti penitenziari non sono ancora adeguati per predisporre idonei spazi per l’esercizio del diritto all'affettività di ogni detenuto," spiega l'avvocato Pina Di Credico, difensore del detenuto. "Con questa ordinanza, spero che le motivazioni ostative di natura pratica non possano più essere addotte e che le case circondariali inizino ad attivarsi per rendere l’esecuzione della pena più 'umana'."

Il ricorso del Dap (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) contro l'ordinanza è stato respinto dal magistrato Elena Banchi. Questa decisione è stata accolta "con grande soddisfazione" dall'avvocato Di Credico, che considera il ricorso del Dap un tentativo disperato di bloccare un'ordinanza pilota per la mancanza di strutture idonee. L'avvocato esprime la speranza che la presunta pericolosità di un detenuto non venga usata come arbitraria giustificazione per respingere future istanze di colloqui intimi, puntualizzando che tale nota invocata dall'amministrazione penitenziaria non era nemmeno presente nel fascicolo del giudice e contrasterebbe con l'ottima relazione fornita dall'istituto di pena.

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