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Finanza digitale e controlli fiscali: il nodo ION e il caso Pignataro

L’inchiesta della Procura di Bologna su una delle più grandi realtà fintech italiane riaccende il dibattito sulla governance fiscale nell’economia globalizzata e immateriale.

Ion

Digital Bolognese

Un impero nato in silenzio, cresciuto nell’ombra, oggi si ritrova sotto la luce abbagliante della giustizia. Andrea Pignataro, genio solitario della finanza digitale e secondo italiano più ricco secondo Forbes (con un patrimonio stimato di 34,2 miliardi di dollari), è accusato di aver sottratto all’erario italiano una somma record: 1,2 miliardi di euro.
La Procura di Bologna, con il pm Michele Martorelli al timone, ha acceso i riflettori sul gruppo ION, fondato da Pignataro nel 1999.
Secondo gli inquirenti, tra il 2013 e il 2023 il colosso fintech non avrebbe versato circa 500 milioni di euro in imposte, cifra che sale a 1,2 miliardi con gli interessi.
Una contestazione che mette in discussione l’operato del gruppo e solleva interrogativi sull’efficacia dei controlli fiscali nel mondo ipercomplesso della finanza digitale.
Il presente: tra collaborazione e sospetti
ION, attraverso i suoi legali, ha fatto sapere di star collaborando con gli inquirenti e di essere fiduciosa nella possibilità di dimostrare la correttezza delle proprie operazioni. Ma è possibile che, per un intero decennio, nessuno si sia accorto di nulla?
Le indagini puntano il dito su una rete societaria articolata, che avrebbe permesso di trasferire utili tra sedi internazionali eludendo il fisco italiano.
Il gruppo, con base formale a Londra ma forti radici a Bologna, non è quotato in Borsa e non pubblica regolarmente bilanci consolidati: una scelta che alimenta la percezione di opacità.
“Quello che accade a ION è sintomo di un sistema fiscale impreparato alla dimensione immateriale dell’economia digitale,” afferma un docente di diritto tributario dell’Università di Bologna.
Il passato: l’ascesa di un outsider
La parabola di Andrea Pignataro è singolare. Laureato in economia all’Alma Mater e dottorato in matematica all’Imperial College di Londra, inizia la carriera a Wall Street, tra i desk di Salomon Brothers. Nel 1999 fonda ION con l’idea di rivoluzionare i mercati finanziari tramite il software.
Da lì parte una scalata fulminea, costruita acquisizione dopo acquisizione: Cedacri, Cerved, Prelios, Fidessa, Openlink, Dealogic.
Un puzzle globale di piattaforme, dati e servizi finanziari riunito sotto un’unica regia.
ION diventa così un attore imprescindibile per banche, fondi, istituzioni pubbliche. Ma anche un’entità sfuggente, difficile da inquadrare e, soprattutto, da regolare.
Un sistema sotto pressione
L’indagine su ION arriva in un momento di crescente attenzione fiscale verso le grandi tech.
Non solo italiane. Google, Meta, Amazon, Apple: tutti sono passati per le maglie sempre più strette dell’Unione Europea, tra pressioni regolatorie e accuse di elusione.
Negli Stati Uniti, l’irritazione è palpabile. L’amministrazione Trump, e anche quelle successive, hanno accusato l’Europa di politiche ostili verso le loro multinazionali digitali.
Ma la vera questione è: dove devono pagare le tasse le aziende globali?
E chi controlla i controllori?
Il futuro: tra giustizia e modello di sviluppo
Per ora, la magistratura italiana ha aperto un’indagine senza misure cautelari personali.
Ma nuovi sviluppi non sono esclusi.
Il nome di Pignataro si aggiunge a una lista crescente di imprenditori sotto indagine.
A Bologna, solo poche settimane fa, è stato confiscato un patrimonio di oltre 4 milioni a un altro imprenditore considerato “socialmente pericoloso”.
La lotta all’evasione è tornata centrale nel dibattito pubblico.
E il caso ION obbliga a una riflessione più ampia: quanto può crescere un’impresa globale senza che nessuno ne chieda conto?
E l’Italia – Paese ancora alla ricerca del proprio modello di sviluppo digitale – è davvero pronta a fronteggiare i giganti che ha contribuito a creare?
Un epilogo ancora da scrivere
Andrea Pignataro è stato definito il “Bloomberg italiano”. Un visionario, senza dubbio. Ma come spesso accade nelle grandi storie imprenditoriali, il confine tra innovazione e opacità è sottile.
Nel mondo dei dati, il potere è invisibile. Fino a quando qualcuno decide di accendere la luce.
 
 

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