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Violenza
16 Aprile 2025 - 08:19
Marta Maria Ohryzko
Marta aveva trentatré anni. È caduta in un dirupo e si è rotta una caviglia. Ha chiesto aiuto. Il compagno, invece di soccorrerla, è tornato di notte, l’ha colpita con un pugno in faccia e l’ha soffocata. L’ha uccisa.
Non per caso. Non in un momento di follia. Ma lucidamente, con violenza, con quella rabbia cieca che trasforma un uomo in carnefice quando una donna decide di dire basta. È l’ennesimo femminicidio. Una storia che conosciamo fin troppo bene. Ogni volta ci indigniamo, ogni volta sembra l’ultima. Ma non cambia nulla.
Anche a Bologna, i numeri sono implacabili: centinaia di interventi per violenza domestica, centri antiviolenza pieni, donne che denunciano e poi vengono lasciate sole, o peggio, colpite. Uccise.
E la domanda resta lì, pesante: perché?
Perché, se esiste la possibilità di separarsi, di mettere fine a una relazione, di andare ognuno per la propria strada, alcuni uomini scelgono la distruzione?
Perché trasformano la fine in una condanna a morte? Non possiamo più limitarci a parlare di gelosia, di raptus, di disagio.
Questa è cultura.
Cultura del possesso. Del controllo. Dell’idea che la donna sia “mia”, e che se non è più mia, allora non deve essere di nessun altro.
Eppure, molti uomini in amore spariscono. Tagliano i ponti, fuggono, si dissolvono senza spiegazioni. Lo fanno, spesso, con vigliaccheria. Ma almeno non con crudeltà.
Quello che i numeri raccontano, invece, è un’altra verità: uomini che scelgono il reato.
Che preferiscono uccidere. Come se non riuscissero a sopportare la libertà dell’altra persona. Come se cercassero, inconsciamente, una punizione. Come se la perdita li devastasse al punto da voler trascinare con sé l’altro, e se stessi, nel baratro.
Allora chiediamolo, senza mezzi termini: perché non sapete separarvi senza commettere un crimine? Cos'è che vi manca?
Dove si è spezzata la possibilità di un addio civile, di una rinascita invece che di una vendetta? Serve molto più di una legge.
Serve un cambiamento profondo. Serve educare alla perdita, alla frustrazione, al dolore che fa parte della vita ma non autorizza la distruzione. Serve che gli uomini imparino che amare non significa possedere. Che finire non significa fallire. Che lasciar andare non è debolezza, ma libertà. Marta è morta. E con lei, muore un pezzo della nostra coscienza collettiva. Non possiamo continuare a contarle. Non possiamo più accettare il silenzio, né le giustificazioni. La fine di una storia non deve mai essere la fine di una vita.
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