C’è una città che cammina ogni giorno, senza clamore, come tante altre. È Bologna, ma potrebbe essere qualsiasi altro luogo nel mondo che, in questo momento, trattiene il respiro, insegue il tempo, cerca un senso. Il tempo, qui, si svela piano, tra luci oblique e rumori attenuati, e ci invita a rallentare. Ma chi ha ancora il tempo di fermarsi davvero? Viviamo immersi in una realtà che ci illude di essere connessi, di sentirci parte, mentre ci scopriamo sempre più frammentati. Lo scroll continuo delle giornate ci fa credere di partecipare. Ma cosa viviamo, in verità? Cosa sentiamo quando il dispositivo si spegne, quando resta solo il silenzio tra le pareti di una stanza, o nel brusio di una piazza o di un pub? La città parla. Parla con i suoi studenti che affollano biblioteche e bar, con gli anziani che risalgono lentamente i marciapiedi, con chi lavora e chi cerca lavoro, con chi è appena arrivato e chi vorrebbe partire. È un coro dissonante, fatto di vite che si sfiorano senza conoscersi. Eppure qualcosa ci accomuna: l’attesa. Di cosa, non sempre lo sappiamo. Ci sono i giovani, poi. Su di loro poggiamo speranze che, spesso, sanno di fuga dalle nostre responsabilità. Ma loro — lo sappiamo davvero cosa cercano? Silenzio, forse. O, al contrario, compagnia. Desiderano appartenenza, ma non omologazione. E invece siamo proprio omologati nell'immagine, in quel fare che fa tendenza. Portano domande che spesso restano sospese, perché il mondo attorno non ha più la pazienza di ascoltare. E allora si rifugiano nel virtuale, oppure nel margine. Tacciono, ma sentono tutto. E questo accade qui, sotto i portici, ma anche altrove: a Mumbai, a Dakar, a Buenos Aires. Perché il punto non è solo dove siamo, ma come ci stiamo. Il clima può cambiare, i paesaggi mutano, ma le emozioni — quelle profonde, viscerali, confuse — sono ovunque simili. Eppure restano le più difficili da condividere. Perché richiedono un tempo che non si compra, un ascolto che non si delega. Scrivere oggi significa tentare di ricomporre una mappa emotiva del presente. Offrire un luogo, anche solo temporaneo, dove ciò che sentiamo possa esistere senza dover essere risolto o spiegato o peggio ancora contestato. E allora, quest'articolo non vuole essere una risposta, ma una domanda condivisa: Che giorni sono, che giorni viviamo? Se sapremo stare dentro questa domanda — senza fretta, senza distrazioni — forse, anche solo per un attimo, torneremo a sentirci parte. Non della rete. Ma della realtà, quella che ci circonda attimo per attimo. Viviamo attivamente
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