Dalla strada agli enti, serve un sistema integrato che unisca tecnologia e coordinamento per un controllo diffuso, efficace e giusto. In un momento storico in cui la legalità rischia di essere interpretata come un fastidio burocratico o un limite alla libertà individuale, è fondamentale restituire al concetto di controllo il suo valore più autentico: quello di uno strumento a tutela di tutti.
Controllare non significa escludere, ma includere in modo corretto. Significa riconoscere le persone all’interno di un sistema che, per funzionare, ha bisogno di regole chiare, eque, e soprattutto condivise.
Il recente caso di Imola, dove un cittadino extracomunitario è stato fermato con una carta d’identità contraffatta, dimostra quanto i controlli su strada non siano soltanto misure per garantire la sicurezza della circolazione, ma veri e propri presidi di legalità. In quel documento falso si nascondeva un'intera trama di atti elusivi:
apertura di partita IVA, contratto di affitto, iscrizione in anagrafe.
Tutto ottenuto eludendo un controllo che, se fosse stato integrato tra enti, avrebbe potuto intervenire prima e meglio.
Ecco il punto cruciale: manca ancora una rete coesa tra le diverse istituzioni che operano sul territorio.
Anagrafe, Camera di Commercio, Motorizzazione, Agenzia delle Entrate, Questure, Forze dell’Ordine.
Ogni ente lavora spesso su binari paralleli, controllando ciò che storicamente rientra nelle proprie competenze. Ma oggi la realtà sociale ed
economica è ben più fluida, e il rischio di infiltrazioni illegali si nasconde proprio in questi interstizi, dove la compartimentazione genera vulnerabilità.
Serve una visione trasversale. Serve una cultura del controllo che non si limiti alla reazione, ma punti sulla prevenzione.
E questo è possibile, oggi più che mai, grazie alla tecnologia. Le piattaforme digitali esistono. L’incrocio dei dati, se ben gestito, non è una minaccia alla privacy, ma una garanzia di equità e sicurezza per tutti. Un’identità correttamente registrata può parlare più della persona stessa: dirci se esiste davvero, se ha assicurazioni attive, se ha titoli per aprire un'attività, se ha posizioni pendenti.
Un sistema integrato riduce tempi, sprechi e irregolarità.Controllare, dunque, non è burocratizzare. È saper osservare. È mettere insieme i segnali.
È non fermarsi alla superficie dei documenti, ma ricostruire la coerenza tra chi siamo, cosa facciamo e dove siamo inseriti. Questo non vale solo per chi arriva da fuori, ma per ogni cittadino, italiano o straniero che sia. Perché il sistema ha senso solo se funziona per tutti.
Il presidio territoriale, come quello delle pattuglie su strada, resta indispensabile. Ma non può essere l’unico.
Va rafforzato da un’intelligenza collettiva fatta di relazioni tra enti, interoperabilità tecnologica e professionalità capaci di andare oltre la routine.
Un tempo ogni ufficio si occupava del “suo”. Oggi non è più possibile. La società è interconnessa, e anche i controlli devono esserlo.
Solo così la legalità potrà uscire dalla dimensione straordinaria e diventare una pratica quotidiana.
Solo così potremo contrastare davvero l’illegalità, favorendo un’inclusione che sia onesta, consapevole e giusta.
Perché non c’è sicurezza senza giustizia, e non c’è giustizia senza verità.
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