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Bologna, centro della cultura e della tolleranza? Forse non più

Un’aggressione omofoba in via Petroni mostra il volto di una città che rischia di perdere se stessa. Non è solo violenza: è un segnale profondo di decadenza civile.

Forze dell’Ordine

112 per tutti

È successo di nuovo. In pieno centro, a Bologna, un gruppo di adolescenti ha aggredito un adulto per il solo gusto di fare violenza. Non per rapinare, non per difendersi, non per reazione. Ma per aggredire. Punto. E quando a questa brutalità gratuita si aggiunge la volontà discriminatoria, l’atto assume un peso ancora più inquietante, che chiama in causa tutta la città.
L’ultimo episodio è accaduto in via Petroni, nel cuore della zona universitaria. Un ventinovenne, residente a Bologna da sette anni, è stato insultatoschiaffeggiato e colpito con spray urticante da un gruppo di sette-otto ragazzi, alcuni minorenni. Il motivo? La sua omosessualità, espressa senza alcuna ostentazione, ma evidentemente “troppa” per qualcuno. Parole come “ricchione” e “frocio” sono state urlate con la violenza cieca di chi cerca un nemico per sentirsi qualcuno.
Non è solo un’aggressione omofoba. È un segnale chiaro e allarmante di una regressione civile. È la riprova che qualcosa si è incrinato nella trasmissione dei valori di rispettoaccettazioneconvivenza. E non si può più pensare che questi episodi siano “casi isolati”. Da mesi Bologna vive un’escalation di violenza giovanile che le forze dell’ordine cercano faticosamente di arginare. Ma se la repressione è necessaria, non basta.
Serve prevenzione. E serve educazione. Non possiamo più lasciare che il rispetto per l’identità dell’altro – sessuale, culturale, linguistica – sia un tema opzionale. Deve diventare fondamento educativo fin dalle scuole elementari. Accettare l’altro per quello che è, senza giudicarlo, è il primo passo per una società adulta.
Non è solo un fatto di sicurezza urbana. È un problema culturale. Chi colpisce un ragazzo perché è gay non è solo un violento: è un analfabeta affettivo ed etico. E se ha quindicisedici anni, vuol dire che non ha incontrato nessuno – a casa, a scuola, nei quartieri – che gli abbia insegnato il valore della libertà altrui.
Bologna non può accettare di diventare teatro di questa ignoranza. E non può accontentarsi delle reazioni d’urgenza. Serve un progetto. Serve una responsabilità collettiva. Perché ogni insulto omofobo, ogni pugno, ogni spray lanciato contro chi è semplicemente se stesso, è una ferita inferta alla città intera.
 
 

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