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20 Agosto 2024 - 14:38
L’over-tourism è una piaga che sta dilaniando le nostre città, un male moderno alimentato da voli low-cost, piattaforme di affitti brevi e l’implacabile martellamento dei social media. Le città d’arte come Venezia, Firenze e Roma sono da tempo sotto assedio, ma oggi anche Bologna, un tempo meta prediletta da un turismo di nicchia, si ritrova nella morsa del turismo di massa. Un fenomeno che non solo sta snaturando l’identità storica e culturale del capoluogo emiliano, ma ne sta accelerando il declino, come ben evidenziato nell’articolo di Ilaria Maria Sala sul New York Times del 12 agosto scorso.
Solo pochi anni fa, Bologna era considerata una gemma nascosta, apprezzata da chi cercava un’esperienza autentica, lontana dalle folle oceaniche che invadono le città più blasonate. La sua antica università, i portici infiniti, le torri medievali e una cucina tradizionale servita in trattorie familiari erano le attrazioni per un turismo raffinato e consapevole. Oggi, quel turismo è stato soppiantato da una massa di visitatori che affolla la città solo per scattare una foto davanti alla Torre degli Asinelli o per gustare una mortadella in un cono di carta, spacciato per un’autentica esperienza culinaria locale.
Bologna, la Dotta e la Grassa, è diventata principalmente la Grassa. Il turismo che un tempo si interessava alla cultura e alla storia si è trasformato in un’orda di consumatori, attratti dalla promessa di un’autenticità che non esiste più. La denuncia di Ilaria Maria Sala è precisa e dolorosa: Bologna si è trasformata in un “mortadellificio”. Le antiche botteghe e librerie, una volta cuore pulsante del centro, sono state sostituite da catene di salumerie che, con un occhio attento solo ai profitti, hanno convertito tutto in souvenir gastronomici. Il centro storico è stato colonizzato da negozi che vendono montagne di mortadella, con maiali sorridenti che decorano le vetrine e turisti che credono di vivere un’esperienza autentica mentre trangugiano tortellini fritti.
Il turismo di massa porta con sé una lenta ma inesorabile desertificazione del centro storico. Gli affitti sono esplosi, spinti dalla domanda crescente di alloggi per brevi soggiorni turistici, mentre i residenti e gli studenti, che un tempo popolavano la città, sono costretti a fuggire verso la periferia o addirittura a lasciare Bologna. La conseguenza è una città che sta perdendo la sua anima, il suo carattere autentico, mentre gli studenti, che rappresentavano la linfa vitale dell’antica università, trovano rifugio in città più piccole e meno costose.
Non solo gli affitti salgono, ma anche la coesione sociale si sgretola. Le vecchie botteghe, che un tempo erano punti di incontro per i bolognesi, scompaiono, sostituite da negozi standardizzati che rispondono unicamente ai gusti dei turisti. La perdita delle tradizioni locali, della cucina autentica e dei rapporti di vicinato è un prezzo troppo alto da pagare per il boom turistico. Bologna non è più la città viva e vibrante che era un tempo, ma una sorta di parco a tema per turisti, dove la storia e la cultura sono solo uno sfondo per consumi superficiali.
Alla denuncia lucida e accorata di Ilaria Maria Sala, il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, stizzito ha risposto con un’irritazione che sembra più dettata dalla preoccupazione per il danno di immagine che non per la sostanza delle accuse. In una lettera al New York Times, Lepore ha rigettato l’idea che Bologna sia stata ridotta a un semplice bancone di mortadella, accusando la giornalista di esagerazione e scarsa conoscenza della realtà bolognese. Tuttavia, questa reazione appare come un tentativo maldestro di spazzare la polvere sotto il tappeto, ignorando i problemi reali che la città sta affrontando.
Il sindaco sembra più preoccupato di difendere l’immagine di Bologna agli occhi del mondo che non di affrontare le sfide poste dall’over-tourism. Certo, l’immagine è importante, ma non è l’immagine a fare una città. Le città vivono della loro storia, delle loro tradizioni, dei loro abitanti. Quando questi elementi vengono sacrificati sull’altare del turismo di massa, si rischia di perdere non solo l’autenticità, ma anche la stessa anima della città.
Oltre all’over-tourism, Bologna si trova ad affrontare altre sfide, come la recrudescenza della microcriminalità e la crescente diffusione della droga. Questi problemi, già gravi, sono esacerbati dal degrado del tessuto sociale cittadino, che vede una popolazione sempre più disinteressata alla vita comunitaria, resa apatica da un centro storico ormai irriconoscibile. La fuga dei residenti dal centro ha lasciato spazio a un vuoto che la microcriminalità e lo spaccio di droga stanno rapidamente riempiendo.
Se Bologna non prenderà misure concrete per invertire questa tendenza, rischia di diventare l’ennesima vittima del turismo selvaggio, un luogo dove i residenti sono solo figuranti in uno spettacolo turistico, mentre i veri problemi della città, come la criminalità e la droga, vengono ignorati o minimizzati.
Bologna può ancora salvarsi, ma il tempo stringe. La città deve trovare un equilibrio tra il turismo e la vita quotidiana dei suoi abitanti. Ciò significa prendere decisioni coraggiose: limitare il numero di affitti brevi, incentivare il ritorno delle botteghe tradizionali, rendere il centro storico di nuovo accessibile e vivibile per i residenti e gli studenti. Ma soprattutto, Bologna deve ritrovare il suo orgoglio, non in una sterile difesa della sua immagine, ma nella riscoperta della sua vera identità.
Bologna non deve diventare solo un luogo dove si viene per mangiare mortadella o scattare una foto. Deve rimanere un luogo dove si vive, si studia, si lavora, si coltivano relazioni e si costruisce comunità. Se il sindaco Lepore e l’amministrazione comunale riusciranno a cogliere questa sfida, Bologna potrà tornare ad essere non solo la Dotta e la Grassa, ma anche e soprattutto la Turrita, una città che, pur nelle difficoltà, sa ancora guardare al futuro con speranza e determinazione.
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