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12 Aprile 2025 - 16:00
Il 12 aprile 1961 segnò una svolta epocale per l’umanità: per la prima volta un uomo lasciava la Terra per raggiungere lo spazio. A compiere l’impresa fu Jurij Gagarin, giovane pilota sovietico di umili origini, che divenne in pochi minuti il simbolo vivente della corsa allo spazio e dell’orgoglio sovietico in piena Guerra Fredda. Un'orbita intorno alla Terra, 108 minuti di viaggio, e il mondo non fu più lo stesso.
Ma la figura di Gagarin va ben oltre l’impresa scientifica. Dietro il sorriso smagliante e la tuta spaziale, si cela un personaggio costruito a tavolino, utilizzato dalla propaganda sovietica per incarnare il modello perfetto dell’“uomo nuovo”: semplice, leale, coraggioso. Nato nel 1934 in una piccola cittadina della Russia, da una famiglia di operai, il giovane Jurij fu scelto non solo per la sua bravura, ma per il suo carisma e l’immagine che proiettava: quella di un popolo che sognava di superare l’Occidente in cielo, come sulla Terra.
La missione Vostok 1 fu breve, ma entrò nella storia. Prima del decollo, Gagarin pronunciò parole destinate all’eternità: «Tutta la mia vita sembra essere condensata in un momento meraviglioso». Un attimo dopo, la navetta lasciava la base di Baikonur. Gagarin divenne il primo uomo nello spazio e, di fatto, un’icona mondiale. Ma il suo successo fu anche la sua prigione. Le autorità sovietiche, timorose di perdere un simbolo troppo prezioso, gli impedirono di tornare nello spazio. Il cosmonauta viaggiò molto, ma solo sulla Terra, diventando ambasciatore del sogno sovietico in ogni angolo del mondo.
Il ritorno alla vita ordinaria non fu semplice. Gagarin, sebbene celebrato ovunque, non riuscì mai a ritrovare il senso profondo che aveva vissuto lassù, tra le stelle. E il destino fu beffardo. Il 27 marzo 1968, a soli 34 anni, morì in un misterioso incidente aereo durante un volo di addestramento. Con lui perse la vita anche l’istruttore Vladimir Seryogin. Le circostanze dell’incidente rimasero a lungo avvolte nel silenzio e nel sospetto. Ufficialmente si parlò di manovra evasiva, errore tecnico, addirittura malore. Ma non mancarono teorie più oscure: sabotaggio, disobbedienza, persino omicidio di Stato.
La sua morte alimentò il mito. Alcuni sostennero che fosse stato messo a tacere per motivi politici, altri ipotizzarono un crollo psicologico seguito da un isolamento forzato. Nessuna prova concreta, solo frammenti, dubbi, suggestioni. Ma una cosa è certa: il suo nome continuò a brillare.
Anche dopo la sua scomparsa, Gagarin restò un eroe per milioni di persone. Fu insignito delle più alte onorificenze, divenne Eroe dell’Unione Sovietica, viaggiò in missioni diplomatiche, e fu celebrato da leader di ogni parte del mondo. In America Latina come in Asia, era visto come il simbolo di una nuova era possibile, in cui l’uomo poteva finalmente sollevarsi dai confini imposti dalla gravità e dal conflitto.
Nel 1967 sembrava destinato a un ritorno nello spazio, ma la sorte volle diversamente. Eppure, quella breve traiettoria celeste gli bastò per imprimere il suo nome nella storia. Oggi, a 64 anni da quel volo, Jurij Gagarin resta non solo il primo uomo nello spazio, ma un’icona della speranza, del coraggio e della volontà umana di esplorare l’ignoto.
Il suo volto, il suo sorriso e le sue parole continuano a vivere, in ogni racconto che guarda alle stelle. Perché Gagarin non fu solo il primo a lasciare la Terra. Fu il primo a farci sognare che, forse, il cielo non è il limite.
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