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Awards Season '25
28 Febbraio 2025 - 17:00
Ci siamo quasi, tra pochi giorni, nella notte italiana tra domenica 2 e lunedì 3 marzo, Hollywood chiuderà le sue strade e vedrà sfilare al Dolby Theater le stelle del cinema per gli Oscar 2025, il Natale dei cinefili più appassionati. Questa Awards Season è stata tra lei più caotiche, dagli incendi che hanno sconvolto Los Angeles allo scandalo mediatico della candidata per Miglior Attrice Protagonista Karla Sofía Gascón, i pronostici per questi Academy Awards non sono mai stati così difficili da decifrare.
Come fanno tutti i cinefili più appassionati di questi eventi, anche noi abbiamo voluto mettere in campo le nostre previsioni per chi quest'anno verrà data la statuetta. Data la pluralità del materiale di alta qualità che verrà onorata nella serata, le incertezze erano (e sono ancora) tante, perché se c'è una parola che possiamo conferire a questi Oscar 2025 è senza dubbio "sorpresa", perché confidiamo che ce ne potrebbero essere.
In ogni caso, di sotto vi presentiamo i nostri pronostici per questi Academy Awards 2025.
Quest'anno la corsa al premio più ambito di tutta l'Academy è stata tosta. La scelta non è stata facile, tanto da costringerci ad andare per esclusione per fare un pronostico che ci portasse alla scelta finale.
A malincuore, il primo che si può escludere dalla lista dei favoriti è "Dune - Parte II" del regista canadese Denis Villeneuve e sequel della sua già acclamatissima prima parte che nell'edizione 2022 si era portata a casa ben 6 statuette su 10 candidature totali. Da molto tempo era ormai evidente che essere un seguito non aiuta nella corsa ai premi, l'ultima volta era stata nel 2004 quando il terzo film della saga cinematografica "Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re", con una preferenza verso le opere prime.
Broadway non è solo la patria dei teatri e dei musical, è un vero e proprio culto negli Stati Uniti, un amore che ha portato "Wicked" a incassare 472.835.440 dollari solo nel Nord America, annoverando la pellicola tra i 50 film con più incassi della storia; la scelta di Cynthia Erivo e Ariana Grande e l'estrema fedeltà all'opera teatrale originale con le sue atmosfere steampunk e i colori sgargianti, tra cui spiccano ovviamente il verde e il rosa, hanno segnato la strategia vincente del film, ma purtroppo è alquanto improbabile che possa arrivare alla fine di questo grande percorso con una vittoria. Il motivo? L'imponente presenza di titoli quali "Anora", "The Brutalist" e soprattutto "The Substance", il nostro personale favorito.
Corpi nudi prima perfetti e poi deformi, la paura della vecchiaia, la bellezza e la gioventù a tutti i costi, il sangue e la carne marcescente sono i veri protagonisti della pellicola. Il body horror grottesco diventa una metafora per il corpo delle donne martorizzato da una società troppo veloce, che fa sentire il ticchettio del tempo che passa e la costante ricerca della perfezione che si ottiene solo nella giovinezza.
Si sa, gli Oscar sono un premio politico per gli Stati Uniti e la presidenza Trump sta segnando l'inizio di un periodo nero per le minoranze e per le donne e la vittoria di "The Substance" sarebbe l'ennesimo potente messaggio di protesta del mondo dello spettacolo, una rivolta portata avanti con l'arte e non con i proclami violenti dei politici leader del Paese.
C'è una battuta nella serie animata "Phineas & Ferb" detta dal Dr. Heinz Doofenshmirtz: "Se avessi un centesimo per ogni volta che sono stato sconfitto da Perry l'ornitorinco, avrei due centesimi. Il che non è molto, ma è strano che sia successo due volte." La stessa cosa potremmo dirla noi per questa categoria: "Se avessi un centesimo per ogni volta che Adrien Brody ha vinto gli Oscar per aver interpretato un sopravvissuto all'Olocausto, avrei due centesimi. Il che non è molto, ma è strano che sia successo due volte."
La cosa potrebbe ancora succedere, ma noi pensiamo che colui che riceverà la statuetta quest'anno sarà il doppelganger di Bob Dylan. Perché? Prima di tutto perché Chalamet è la definizione di "erede al trono di Hollywood", per il talento che mostra ma soprattutto per la dedizione e la sua 'ricerca costante della grandezza', come ha attestato lui stesso quando ha vinto i SAG-Aftra Awards. È l'esempio che un giorno verrà citato nelle future generazioni di attori e attrici e non solo per l'incredibile somiglianza che c'è con il personaggio musicale americano che ha definito gli anni '60.
Anche Ralph Fiennes poteva essere tra i nomi detti a getto. L'attore di "Conclave" è tra gli attori più influenti della sua generazione, così influente che gli stessi votatori si sono confusi, non votando per lui perché 'pensavano avesse già vinto per Schindler's List' nel '94. Un errore fatto onestamente ma che purtroppo difficilmente sarà annunciato come Miglior Attore.
Stessa cosa può essere detta per Colman Domingo, candidato per il secondo anno consecutivo per "Sing Sing". Il fatto che sia già la seconda volta che ha ricevuto la nomination, ad un anno da "Rustin", attesta come la sua presenza ad Hollywood sia necessaria e di valore, soprattutto nel raccontare delle storie vere ed importanti come quelle dei suoi film. Un giorno ci sarà anche lui nella lista dei Migliori Attori, solo non quest'anno.
Ma il peccato più grande che l'Academy abbia fatto è stato nominare Sebastian Stan per "The Apprentice" e non per "A Different Man". Conoscendo la fortissima opposizione di Hollywood sul presidente americano in carica, la scelta di nominare Stan per il biopic di Ali Abbasi sulle origini di Donald Trump è sembrata come una mossa di ripicca contro il presidente dai valori opposti a quelli (woke) dell'industria cinematografica americana. Per quanto "The Apprentice" fosse stata per Stan un'occasione di spicco per la sua carriera, sembra che l'Academy si sia completamente dimenticata di "A Different Man", che poteva essere una grandissima occasione di premiare una storia che davvero fa riflettere e aprire gli occhi su una questione tanto delicata quanto scomoda. Sebastian Stan merita l'Oscar, ma non per dispetto ed è solo per questa ragione che speriamo non vinca.
Poco dopo l'uscita delle candidature era già tra le favorite alla vittoria e pensiamo che sarà proprio lei ad arrivare in cima alla fine: questo è l'anno del riscatto per Demi Moore che per la prima volta nella sua carriera è candidata all'ambita statuetta avendo già vinto il Golden Globe per la Migliore Attrice Protagonista in un film commedia o musicale, premio che aveva già sfiorato grazie al suo iconico ruolo in "Ghost".
La sua vittoria sarebbe il finale, o meglio un nuovo inizio perfetto per l'attrice che troppo spesso è stata sottovalutata o messa da parte dal pubblico e dall'industria. Non diamo nulla per scontato, però, perché la corsa non è ancora finita e Mikey Madison con la sua "Anora" potrebbe essere pronta a uno scatto finale a sorpresa per il sorpasso, cosa che invece pensiamo sia impossibile per Karla Sofia Gascon che è passata dalle stelle alle stalle nel giro di qualche giorno.
Premessa: tutti i candidati dovrebbero ottenere l'Oscar, ma Kieran Culkin quest'anno lo merita più di tutti. Quello che ha mostrato in "A Real Pain" ha superato ogni aspettativa avuta e il tutto non sarebbe stato possibile se non fosse stato per due persone che sono i veri responsabili del successo che è il film.
Primo è ovviamente il regista Jesse Eisenberg che ha ingaggiato Culkin sulla base del suo istinto e del consiglio della sorella Hallie che era sua fan da "Succession". Eisenberg aveva scritto la sceneggiatura pensando al personaggio di Benji come suo ma dopo aver visto Culkin un sesto senso gli ha detto di ingaggiare lui e di prendersi su di sé il protagonista David. La scelta è risultata nella straordinaria interpretazione di Kieran che quest'anno verrà premiata e riconosciuta.
Altra responsabile è colei che ormai è una dea del cinema contemporaneo: la due volte premio Oscar e produttrice esecutiva Emma Stone. Infatti, Culkin voleva rinunciare a recitare nel film a due settimane dal primo ciak perché voleva passare più tempo con la sua famiglia, ma l'attrice, essendo Emma Stone, è riuscita a far conciliare le due cose dando la possibilità all'attore di intraprendere il viaggio che il 2 marzo lo porterà sul palcoscenico del Dolby.
Ma perché noi pensiamo che sarà Kieran Culkin a vincere quest'anno? Perché Benji è il suo riflesso, la personalità che non ha paura di mostrare sia sullo schermo che nella vita reale. Il suo carisma è il suo charme e la sua emotività è un gioiello. Questa è una prova di come l'Oscar debba essere dato per chi l'attore è nella realtà e non solo per come può uscire dalla sua comfort zone.
Per quanto le altre candidate avessero portato sullo schermo delle performance magistrali (e per quanto grande sia il desiderio di vedere Ariana Grande ricevere il massimo riconoscimento per un sogno che aveva da bambina e che ha realizzato con un'esibizione perfetta), Zoe Saldaña era a lungo acclamata dalla critica per la sua brillantezza nella recitazione e prima di "Emilia Pérez" questa era limitata al suo coinvolgimento in alcuni dei blockbusters più famosi e grandi del mondo del cinema (basti pensare ad "Avatar", ai film della Marvel e "Star Trek").
Con "Emilia Pérez" invece si è vista la totalità del suo talento e della sua totale libertà a superare i suoi limiti e a mostrare quanto in fondo un artista può andare per raccontare una storia come quella del suo personaggio Rita Mora Castro.
Qui iniziano le incertezze: la scelta di ogni nominato era stata presa così egregiamente che nemmeno noi sappiamo con certezza chi sarà a vincere. Sicuramente, ogni regista ha raccontato le storie che volevano portare sullo schermo e il risultato è stato lo stesso per tutti.
Sean Baker con "Anora" è arrivato a raccontare perfettamente la condizione di vita vissuta dalle donne notturne in America, con la loro forza e debolezza celata al di sotto, la sua direzione ha guidato il cast portando sullo schermo una storia senza lieto fine di cui tutti avevamo bisogno.
Brady Corbet ha pazientato tanto, tra fallimenti e lunghi tempi d'attesa per raccontare "The Brutalist", una soddisfazione audiovisiva che ha preso l'arte e non l'ha messa da parte.
Jacques Audiard è andato fuori dagli schemi in ogni senso, "Emilia Pérez" è stata un'esperienza che ha lasciato tutti senza parole, nel senso buono e cattivo.
Coralie Fargeat entra in diretta competizione con Sean Baker. La regista ha riportato alla rivalsa il body horror con il suo “The Substance”, una pellicola non adatta ai deboli di stomaco, che si concentra sulla rappresentazione del corpo umano, quello femminile in particolare, nel modo più crudo e marcio possibile, raccontando attraverso i litri e litri di sangue una storia di perfetta tossicità.
Bob Dylan è uno dei cantautori americani più importanti e influenti nella storia della musica e James Mangold con “A Complete Unknown” lo ha portato al grande pubblico con il canone classico dei biopic che viene innalzato grazie alle scelte registiche che valorizzano la presenza scenica del cast e le accoppiate perfette tra l’estetica dei colori e delle riprese e la musica di Dylan portata in scena da uno Chalamet che fa catapultare lo spettatore nelle atmosfere folk e rock degli anni 60.
Già vincitore del Golden Globe nella medesima categoria, Peter Straughan, sceneggiatore di "Conclave", potrebbe avere la strada spianata per salire le scale del palco dell'Academy e aggiudicarsi la statuetta. Straughan ha adattato per il grande schermo la storia con la firma di un nome già famoso nel mondo del cinema, ovvero lo scrittore e giornalista Robert Harris, autore di libri quali "L'ufficiale e la spia" o "Il ghostwriter", entrambi titoli portati al cinema dal regista Roman Polanski. Insomma, quando si dice un nome, una garanzia.
"Conclave" è fedele alla sua opera originale e narra un thriller che mette un piede nella scarpa della fantapolitica in un periodo storico in cui la Chiesa è chiamata a porre più attenzione alla scelta dei suoi rappresentati e alla politica, tra giochi di potere e indagini su chi sia il candidato perfetto per rappresentare i fedeli cristiani di tutto il mondo.
Un conto è vedere la sceneggiatura adattata sullo schermo, un altro è leggerla su carta. In entrambi i casi, Jesse Eisenberg è chi noi pensiamo sarà il vincitore quest'anno per questa categoria e non lo diciamo così per. La sua sceneggiatura (che è disponibile per la lettura su pdf gratuito grazie al sito Scrip Slug) è di 101 pagine ma le si divorano con gusto e goduria. È uno script spassoso, audace e profondamente emozionante che dà la possibilità allo spettatore (e lettore) di immergersi nelle teste dei due cugini protagonisti, conoscerli nel profondo, esaminare la loro psicologia e sapere perché sono come sono.
Non è la prima volta che Eisenberg si cimenta nella scrittura per film ma "A Real Pain" è indubbiamente il suo capolavoro, perché non solo racconta molteplici storie in una storia singolare ma ha avuto la chance di onorare la sua stessa famiglia. Infatti, l'attore-regista è di origini polacche-ucraine e di religione ebrea e i suoi trisavoli provengono dalla Polonia e che si sono spostati prima della Seconda Guerra Mondiale. La sua storia ha voluto onorare la memoria della sua famiglia e il retaggio che è nato dalla tragedia della guerra.
La sceneggiatura di Jesse Eisenberg è una prova di come l'arte (in questo caso la scrittura e la recitazione) sia una porta alla libertà del proprio io nonostante le condizioni umane considerate un "limite" per la psiche umana come il disturbo ossessivo-compulsivo e l'ansia (sofferte dal regista). Potremmo andare avanti all'infinito sul talento oseremmo dire divino di Eisenberg ma queste sono le ragioni principali per cui pensiamo sarà lui ad essere il vincitore agli Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale.
Si sa benissimo che sarà "Emilia Pérez" a vincere nella categoria, data l'ormai enorme fama che ha ottenuto, ma una parentesi la vogliamo aprire anche sugli altri film candidati (e ingiustamente tagliati fuori dall'essere considerati): a parte "Flow", che segna un risultato straordinario per la Lettonia (essendo il primo film ad essere nominato per il paese baltico) ma che racconta una storia fantastica, il Brasile aveva letteralmente gridato a squarciagola all'Oscar per la storia vera di "I'm Still Here" e Fernanda Torres, così come la Danimarca per "La Ragazza con l'Ago" (uno spettacolo visivo e terrificante che meritava una nomination in più per Miglior Fotografia e Cinematografia) e la Germania per "Il Seme del Fico Sacro" (che anche se non racconta una storia reale interna al suo paese, comunque lancia degli echi del suo proprio passato e che ha ricevuto più ammirazione dal pubblico rispetto a "Emilia Pérez").
La pellicola di Gints Zilbalodis, fin dalla sua uscita nelle sale, ha portato sullo schermo il vero concetto che è il cinema: un linguaggio universale. Il film, che parla di una ciurma di animali domestici e non, capitanata da un gatto, all'avventura dopo essere sopravvissuti ad un diluvio, è la rappresentazione del cambiamento, della paura di questa e delle grandi possibilità che porta.
Rispetto a "Il Robot Selvaggio" della Dreamworks o "Inside Out 2" della Disney, che sono tra i preferiti a vincere nella categoria, la pellicola di Zilbalodis risponde alla necessità primaria di un normale spettatore di cinema: sedersi sulla poltrona e ammirare il film, dimenticando della realtà esterna per il tempo in cui ci si trova e non solo per lasciarsi insegnare lezioni di vita.
Parte della magia del cinema è il suo saper trasmettere emozioni senza concentrarsi solo sulle parole: una transizione drammatica, un primo piano ricco di tensione con una musica stridente a enfatizzare (Sergio Leone docet), il ritmo dei cambi d'inquadratura durante un dialogo. Per quanto pellicole come "Wicked", "The Brutalist" e "Anora" offrano dei prodotti completi ricchi di fascino e tecnica, Conclave, derubato di una candidatura a Miglior regia e Miglior Cinematografia, avrebbe almeno una consolazione nel riuscire a raggiungere le vette grazie al Montaggio.
Per quanto venga principalmente criticato per la sua lentezza, in questo caso è una caratteristica funzionale alla messa in scena, trasmettendo allo spettatore la sensazione di pesantezza che affligge il decano di Ralph Fiennes, enfatizzata dal connubio perfetto tra il suono prorompente dei respiri dell'attore, la musica tagliente della colonna sonora e i cambi d'inquadratura che vanno dai campi larghi ai focus su piccoli dettagli senza mai uscire dagli ambienti del Vaticano, facendo sentire la mancanza d'aria e la claustrofobia di una situazione delicata quanto lo è la votazione per eleggere un nuovo Santo Padre.
Composta da Daniel Blumberg la musica del film si caratterizza per il suo approccio innovativo e atmosferico, che gioca un ruolo cruciale nel trasmettere la tensione psicologica e l'isolamento dei protagonisti, è avvolgente e minimale, creando un'atmosfera che richiama l'inquietudine e l'introspezione. Le sonorità sospese e ripetitive accompagnano i momenti più intensi del film, accentuando il senso di claustrofobia e alienazione che i personaggi vivono.
La capacità di trasformare l’ambiente e il tono del film attraverso la musica, unita alla sua originalità, farà sicuramente emergere la colonna sonora di "The Brutalist" come una delle scelte più forti della stagione.
Scritta da Clément Ducol e Camille, "El Mal" di Emilia Pérez è una composizione che non solo cattura l'essenza del film in cui appare, ma si distingue anche per la sua capacità di trasmettere un'emozione profonda e universale, rendendola una delle principali candidate a vincere l'Oscar come Miglior Canzone Originale. Le sue parole sono piene di passione e significato, esplorando tematiche di dolore, lotta interiore e liberazione. La canzone riesce a catturare l'essenza del conflitto emotivo dei protagonisti, creando un legame immediato con lo spettatore.
La performance vocale di Zoe Saldana e Karla Sofía Gascón è magnetica, ricca di sincerità e intensità, che porta una carica emotiva unica alla canzone. La sua voce riesce a trasmettere una profonda vulnerabilità, ma anche una determinazione ferma, che rende la canzone un’autentica esperienza sensoriale.
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